13/01/2010versione stampabilestampainvia paginainvia



Il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo illustra le falle del piano carceri del governo

Seicento milioni di euro. A tanto ammonta la cifra stanziata dal governo per la costruzione di 47 nuovi padiglioni per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Eppure in Italia esistono già degli istituti penitenziari che potrebbero essere utilizzati per accogliere i detenuti, facendo risparmiare tempo e denaro ai contribuenti e all'esecutivo, ma questi versano in uno stato di abbandono totale. I motivi del degrado restano, tuttavia, un mistero. Sarebbero in tutto 40, stando all'inchiesta pubblicata sul sito GrNet.it. Su questo aspetto, tuttavia, il ministero della Giustizia non si scompone:“Di questo non so nulla – afferma Danila Subranni, capo ufficio stampa e portavoce del ministro Alfano -. So solo che i 47 padiglioni saranno tutte strutture ex novo”. E anche sul disegno di legge relativo alle norme di accompagnamento, dal ministero faticano a dipanare i dubbi e rimandano al Dipartimento di amministrazione penitenziaria. Anche il Dap, tuttavia, preferisce trincerarsi dietro il silenzio e PeaceReporter si è rivolta al senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, che il 22 dicembre scorso aveva già presentato una mozione per sottolineare la gravità e le anomalie della situazione carceraria, per avere alcune delucidazioni.

Senatore, un giudizio a caldo su questo piano carceri?

Premetto che la situazione carceraria è molto complessa e che il ministro Alfano si trova a fare i conti con un problema molto complesso che non può essere risolto con un colpo di bacchetta magica. Tuttavia ci sono degli aspetti poco chiari. In primis Alfano non ha nemmeno fatto un riferimento alla rieducazione del detenuto, che dovrebbe essere il fine del carcere, come sancito dalla Costituzione. C'è una carenza enorme di addetti ai servizi carcerari, quali psicologi, educatori, figure che dovrebbero aiutare il detenuto nel suo percorso, e di questi non c'è traccia.Quasi non servissero.

Parliamo del disegno di legge? Sembra che finalmente si vada nella strada della depenalizzazione...

Alfano ha fatto un discorso molto teorico che, però, non tiene conto dei diversi reati. Non è chiaro se tutti i reati, punibili fino ai tre anni di detenzione, potranno essere soggetti alla cosiddetta messa in prova, che porterebbe alla sospensione del processo. C'è una bella differenza tra un tossicodipendente e chi ad esempio è accusato di frode in bilancio. Come si può stabilire il pentimento di chi ha commesso questo tipo reato? Manca un pensiero complessivo. Per necessità, vista la drammatica situazione dei penitenziari, si va nella direzione giusta, ma è ancora tutto molto nebuloso. E' come se il governo avesse finalmente preso atto del dramma delle carceri, ma siamo solo all'inizio. Serve maggiore concretezza.

Il ministro ha sottolineato la necessità di far scontare ai cittadini stranieri le pene nei loro Paesi d'origine e ha fatto riferimento a trattati europei che affrontano questo materia. Ha citato in particolare il Programma di Stoccolma. Di cosa si tratta?

Il Programma di Stoccolma è stato pensato dalla Commissione europea per cercare di armonizzare i codici e i sistemi giudiziari dei 27 Paesi membri. Una sorta di legge quadro europea che prevede effettivamente la possibilità che i detenuti scontino nel loro stato la detenzione, in modo da avvicinarli anche alle famiglie. Per divenire attiva questa legge deve, però, essere ratificata dai vari Paesi tramite accordi bilaterali. L'estate scorsa l'Italia era riuscita ad accordarsi con la Romania. Un solo accordo, la Francia, pur guidata da una coalizione di Destra, ne ha già conclusi sei. Il problema, però, è che nella maggior parte dei casi chi compie piccoli reati non è un cittadino europeo. Bisognerebbe avviare delle serie trattative con l'Africa, ma al di là del misero accordo con la Libia, che non è certo un esempio di democrazia, non è stato fatto nulla.

Benedetta Guerriero

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