Ci siamo, il grande momento è arrivato. Dopo un'attesa lunga sei anni, in Sudafrica si sta finalmente per alzare il sipario sulla prima Coppa del Mondo di calcio organizzata in terra d'Africa. Per un mese, il Paese di Nelson Mandela si troverà al centro del mondo, sezionato in tutti i modi possibili da media internazionali, turisti e addetti ai lavori. Ma la domanda che molti qui si fanno è un'altra: che cosa lasceranno di duraturo questi Mondiali, a parte un mese di feste, baldoria e qualche miliardo speso dai turisti stranieri?
Le strutture sportive innanzitutto. Per la Coppa del Mondo il Sudafrica non ha solo riammodernato molti dei suoi stadi, ma ne ha costruiti di nuovi: Soccer City a Johannesburg, il Green Point Stadium di Città del Capo e il Moses Mabhida di Durban sono progetti faraonici, costati centinaia di milioni di dollari e la cui utilità sarà tutta da vedere al termine della competizione. Alcuni giornalisti hanno denunciato come, specie nel caso dello stadio di Città del Capo, sia stata la FIFA a fare pressioni per la costruzione di un nuovo impianto nella zona centrale (ricca e bianca) della città. Il progetto iniziale, che prevedeva l'ammodernamento dello stadio di Athlone, uno dei quartieri coloured a metà strada tra il centro e le township, era coraggioso e meno gravoso per le casse della municipalità. Ma è stato scartato dietro le minacce della FIFA, che ha ventilato la possibilità di declassare la città e ridurre il numero di partite giocate nella Mother City se non si fossero seguite le sue direttive.
Quello dello stadio di Città del Capo è solo un esempio di come il "Mondiale dell'Africa", come è stato sempre definito, sia in realtà stato organizzato non metodi molto occidentali. Complice anche la crisi, a livello turistico il Sudafrica non otterrà molto dai poco più di 250.000 turisti (la metà delle previsioni iniziali) che visiteranno il Paese per la competizione. Le strette regole commerciali imposte sempre dalla FIFA hanno inoltre creato non pochi problemi a venditori ambulanti e negozi locali, impossibilitati a fare pubblicità nei centri città e nei pressi degli stadi perché a uso esclusivo degli sponsor ufficiali: Coca Cola, Emirates e Visa tra gli altri. Un problema non da poco in un Paese dove il 30 percento della popolazione risulta disoccupato o trova impiego nell'economia informale.
Ciò non significa comunque che il Mondiale non possa portare effetti positivi al Sudafrica, soprattutto sul lungo periodo. Se organizzata bene, la competizione potrà essere un volano turistico per i prossimi anni, permettendo al Paese di farsi conoscere meglio e promuovere le sue bellezze naturali. Finora, gli articoli sui media internazionali si sono concentrati esclusivamente, o quasi, sulla questione sicurezza: se il Sudafrica riuscirà a dare una buona immagine di sé potrà finalmente scrollarsi di dosso l'immagine di "Paese pericoloso". Non che gli indici di criminalità del Paese si debbano trascurare, ma sicuramente il Sudafrica non è il far west che molti in Occidente immaginano.
L'altra questione sulla bocca di tutti è la questione razziale, il rapporto tra neri e bianchi. Anche qui, i giornali si sono sbizzarriti con le storie più disparate: da quelle dei nuovi neri ricchi e dei bianchi poveri agli articoli sulle situazioni delle township, in cui la vita rimane dura e centinaia di migliaia di persone sono ancora senza casa a 16 anni dalla fine dell'apartheid. Di certo un Mondiale non riuscirà a risolvere problemi le cui radici affondano nell'iniquo sistema dell'apartheid, che non ha condizionato solo l'economia del Sudafrica ma anche le menti e gli atteggiamenti culturali di 44 milioni di persone. Da questo punto di vista, non esiste una ricetta rapida e semplice per migliorare un Paese che rimane profondamente diviso tra una minoranza bianca ricca e una maggioranza nera ripartita tra pochi "black diamonds", una classe media piccola ma emergente, e un mare di povertà e indigenza. Per risolvere questi problemi serviranno generazioni, e soprattutto un atteggiamento meno buonista da parte delle autorità. Il Paese richiede scelte radicali che non potranno mettere d'accordo tutti, e che dovranno essere realizzate in fretta. Non durante i Mondiali però. Questo Paese ha sofferto tanto, lasciatelo festeggiare per un mese.
Matteo Fagotto