12/09/2011versione stampabilestampainvia paginainvia



Angela Merkel rimane l'ultima paladina di Germania, chiave di volta del progetto Europa, a difesa della moneta e della politica unica europea

Le dimissioni di Jurgen Stark dalla Banca Centrale Europea (Bce) possono avere certamente diverse letture. Cominciamo col dire che nessuno crede alle motivazioni personali avanzate da Stark nel documento inviato al presidente Jean-Claude Trichet: l'influente membro tedesco, che di fatto ha ricoperto il ruolo di capo economico, è noto per la sua intransigenza sul controllo del prezzi - scuola Bundesbank - e per la sua strenua resistenza all'acquisto di titoli italiani, spagnoli e greci. Stark, assistenzialista non lo è mai stato.

Il suo addio, con tre anni di anticipo rispetto alla scadenza naturale, ha dato un affondo alle borse e soprattutto ha tramortito l'euro che è tornato in un sol colpo ai livelli registrati a febbraio nei confronti del dollaro. Gli investitori leggono l'addio di Stark come una grave spaccatura all'interno della Bce: obbligatorio dunque diffidare dei mercati europei e della stabilità della moneta unica.
Il dibattito irrisolto nelle stanze di Francoforte è il sintomo di una scarsa capacità di affrontare e di risolvere collegialmente i problemi. Inoltre, l'uscita di scena di Stark potrebbe dare il colpo definitivo ai già pallidi entusiasmi tedeschi rispetto al progetto euro.

Il cancelliere Angela Merkel auspica una reazione "più dura a livello europeo contro politiche che contraddicono gli impegni presi", dal momento che "basta l'errore di uno solo per mettere in pericolo tutti".
La settimana scorsa la Corte costituzionale ha dato ragione al governo di Berlino respingendo tre diversi ricorsi di membri del Bundestag che miravano a far deragliare i tentativi di Merkel di far approvare l'ultimo piano di salvataggio dell'euro, ma allo stesso tempo ha affermato che in futuro il governo non può evitare il passaggio alla commissione bilancio del parlamento.

Il Bundestag voterà a fine settembre: è una prova fondamentale per il governo tedesco che sulla questione può contare su una maggioranza esigua di diciannove parlamentari. È sempre più radicata la volontà dei tedeschi di non voler pagare i debiti altrui. L'abbandono di Stark è solo l'ultima espressione di tale dissenso: a febbraio il presidente della Bundesbank Axel Weber, successore predestinato di Trichet alla guida della Bce, aveva lasciato il suo posto in qualità di delegato all'istituto di Francoforte proprio perché riteneva che l'acquisto di bond da parte della Banca centrale europea avrebbe significato un'intrusione troppo ingombrante nelle politiche economiche dei paesi membri. Jens Weidmann, che è succeduto a Weber, ha votato contro l'acquisto di titoli italiani e spagnoli e anche il presidente della repubblica tedesca Christian Wulff ha espresso i suoi dubbi sull'operazione tanto sotto il profilo della legalità, quanto quello politico.
I tedeschi stanno vagliando con grande attenzione ogni passo da compiere e faranno pesare il loro ruolo di "paese guida" all'interno dell'Europa. È passato troppo poco tempo da quando, poco più di dieci anni fa, prima di accettare la moneta unica e rinunciare al solidissimo marco, la Germania pose la regola fondamentale "vietato finanziare gli stati", poiché temeva di dover pagare il debito di altri stati. Lo hanno fatto e continuano a farlo per la Riunificazione tedesca; non lo faranno (più) per l'Italia, la Grecia e la Spagna.    

 

Nicola Sessa

creditschi siamoscrivicicollaborasostienicipubblicità