Il destino sa essere beffardo, quando vuole. Il palazzo dell'Unione è in fiamme ma fuori dalla porta la delegazione croata attende per firmare l'adesione ed entrare a far parte dell'Unione come 28esimo membro. La Croazia ha le carte in regola per far parte di un'Ue scalcinata: la crescita pari a zero, il debito pubblico e la disoccupazione galoppanti, i tassi di rendimento vicino al sette per cento sono le credenziali giuste. A parte l'ironia, il momento è molto difficile. Dieci ore di colloqui notturni, al summit di Bruxelles, hanno portato a una spaccatura marcata all'interno dei 27 paesi membri.
Il veto di Londra. Come era prevedibile, Londra non ha accettato le modifiche al Trattato e ha posto il veto: il premier David Cameron ha presentato i suoi "migliori auguri di buona salute all'euro", ma il Regno Unito non è disposto a cedere la propria sovranità. Né, come ha ripetuto Cameron in conferenza stampa, è pentito di essere fuori dall'euro o dagli accordi di Schengen: "Siamo contenti di poter decidere i nostri tassi d'interesse, di avere la nostra moneta e non l'euro e siamo felici di non avere i confini aperti a tutti".
Accordo a ribasso. Nicolas Sarkozy è stato caustico nei confronti degli "amici" britannici: ha imputato a Cameron il fallimento di un'adesione a 27. I rapporti tra i due leader sono gelidi.
Si ripartirà da un accordo a ribasso per la realizzazione di una "Unione di bilancio" che prevede misure più stringenti sui bilanci con accordi intergovernativi per l'unione fiscale; anticipo al luglio 2012 del fondo permanente salva stati (Esm), maggior impegno di risorse da indirizzare sul Fondo monetario internazionale, prestando 200 miliardi di euro (che saranno rigirati ai paesi dell'eurozona in difficoltà). Si tratta dunque di un accordo intergovernativo che partirà dal nucleo dei 17 paesi dell'eurogruppo e che può contare sull'adesione di sei paesi "volontari". Il trattato "ristretto" dovrà essere pronto a marzo. Al momento, ne rimangono fuori Regno Unito e Ungheria, mentre Svezia e Repubblica Ceca dovranno consultare i rispettivi parlamenti prima di assumere una posizione.
Nicola Sessa