23/06/2006versione stampabilestampainvia paginainvia



Li costruirà la Halliburton. Ufficialmente per far fronte a emergenze migratorie
La Kellog Brown & Root (Kbr), azienda di costruzioni sussidiaria della famosa Halliburton, ha ricevuto dal Dipartimento Usa per la Homeland Security (il ministero per la sicurezza interna creato dopo l'11 settembre) un appalto da 385 milioni di dollari per la costruzione in territorio statunitense di un numero imprecisato di centri di detenzione, da 5 mila posti l’uno, da utilizzare in caso di “emergenze nazionali legate a straordinari flussi d’immigrazione, disastri naturali o per supportare il rapido sviluppo di nuovi programmi che richiedono spazi di detenzione addizionali”. La notizia – risalente al 24 gennaio e diffusa dal New York Times il 4 febbraio – è passata completamente inosservata, suscitando però l’allarme di chi negli Usa teme l’avvento di uno Stato di polizia con il pretesto della lotta al terrorismo.
 
Un campo di detenzione dell'Us ArmyLa versione ufficiale non convince. A destare sospetti sono la storia della Kbr – specializzatasi nella costruzione di centri di detenzione per i prigionieri di guerra in Iraq e Afghanistan – ma soprattutto la vaghezza della destinazione d’uso di queste strutture e l’ambiguità dell’espressione “nuovi programmi”: quali? Il timore è che dietro questo nebuloso progetto vi siano scopi diversi da quelli annunciati, che tra l’altro sono ben poco credibili. L’ipotesi di un’invasione di immigrati negli Usa, tale da scatenare un’emergenza nazionale, è infatti a dir poco irrealistica e di certo non giustifica un simile investimento. Per non parlare dei disastri naturali: non si capisce a cosa servano dei campi di prigionia in caso di terremoti o alluvioni.
Secondo Daniel Ellsberg, ex analista militare del Dipartimento della Difesa e oggi ricercatore del Centro Studi Internazionali del prestigioso Massachusetts Institute of Technology, queste strutture verranno usate come campi d’internamento da usare in occasione dei “rastrellamenti di mediorientali, musulmani e dissidenti che avverranno dopo il prossimo attacco in stile 11 settembre”.
Peter Dale Scott, scrittore e giornalista indipendente e pacifista, sostiene che questi centri “verranno usati per imprigionare cittadini americani nel caso l’amministrazione Bush dichiari la legge marziale”.
Maureen Farrell, scrittrice e giornalista anti-Bush, ritiene “più probabile che questi centri di detenzione verranno usati in situazioni del tipo post-11 settembre, invece che come centri di detenzione temporanea per immigrati che si riversassero nel nostro paese”.
Fantasie di menti paranoiche? Non proprio, se si guarda alla storia Usa e al clima politico che si respira a Washington.
 
Giapponesi in un lager Usa nel 1942Campi di prigionia: non sarebbero una novità. Nel 1942, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, 120 mila cittadini americani di origine giapponese vennero rinchiusi in decine di campi d’internamento.
Nel 1982, su impulso del presidente Reagan, l’Agenzia per le Emergenze Federali (Fema) mise a punto un piano di “Continuità del Governo” da attuare in caso di gravi disordini scatenati da un’eventuale invasione americana del Nicaragua, che prevedeva la “sospensione della Costituzione”, la “dichiarazione della legge marziale” e il ricorso a campi di prigionia per i dissidenti. La notizia fu rivelata cinque anni dopo da un articolo del Miami Herald
Nel 1984, la Fema e l’esercito, in collaborazione con Cia e Fbi, hanno svolto una simulazione chiamata ‘Rex 84’ (Readiness Exercise ‘84) per ‘provare’ l’arresto in massa di cittadini sovversivi, il loro trasporto in treni speciali notturni e il loro internamento in campi di detenzione.
 
Democrazia Usa in pericoloDemocrazia Usa in pericolo dopo l’11 settembre. Poco dopo l’11 settembre, nel gennaio 2002, il Pentagono ha predisposto un piano di dispiegamento dell’esercito nelle strade delle città americane in caso di proclamazione dello Stato d’emergenza, creando a questo scopo anche un nuovo comando militare al servizio del Dipartimento per la Homeland Security, il NorthCom, Comando del Nord. Notizia successivamente confermata da un articolo del Washington Post, che svela anche il nome in codice del piano: "Ombra di Granito".
Nel luglio 2002, come riportato dal Detroit Free Press, Peter Kirsanow, membro della Commissione parlamentare Usa per i Diritti Civili ha dichiarato: “Prevedo che l’opinione pubblica americana chiederà campi di internamento per gli arabi americani in caso di un nuovo attacco terroristico di matrice islamica”.
Un mese dopo, si legge sul Los Angeles Times, l’allora ministro della Giustizia John Ashcroft ha caldeggiato la creazione di campi di detenzione per cittadini americani ritenuti nemici degli Stati Uniti.
Nell’ottobre 2003 l’Fbi dirama un ordine alle polizie di tutti gli Stati Uniti affinché inizino a spiare gli attivisti pacifisti che protestano contro la guerra in Iraq. La notizia è riportata dal New York Times.   
Manifestanti rinchiusi al Molo 57Nell’agosto 2004 a New York 1.200 manifestanti che protestano contro la convention nazionale del Partito Repubblicano vengono arrestati e rinchiusi in un centro di detenzione allestito in una ex rimessa di autobus al Molo 57. I giornali titolano: "Una Guantanamo sul fiume Hudson".
Nel gennaio 2005, il capo di stato maggiore dell’esercito Usa, generale Peter Schoomaker, ha emesso un regolamento interno (il n. 210-35) per la creazione di “campi di lavoro e di prigionia per detenuti civili all’interno di installazioni militari”.
Nel giugno 2005, un documento del Pentagono afferma che “le forze armate inizieranno a svolgere missioni di difesa nazionale anche all’interno del territorio nazionale”. 
Nel settembre 2005, in occasione dei disordini seguiti all’uragano Katrina, il consigliere della Casa Bianca, Carl Rove, ha proposto l’imposizione della legge marziale a New Orleans.
Nel dicembre 2005 l’emittente televisiva Nbc ha rivelato l’esistenza di un documento del Pentagono in cui erano registrate 1.500 manifestazioni pacifiste dei precedenti dieci mesi, classificate tutte come “incidenti sospetti”, molte addirittura come “minacce alla sicurezza nazionale”.
Il 6 febbraio 2006, pochi giorni dopo l’assegnazione dell’appalto alla Halliburton, il senatore repubblicano Lindsey Graham, membro della Commissione Giustizia del Senato, ha formalmente invitato l’amministrazione Bush ad impegnarsi seriamente nel “perseguire i movimenti di quinte colonne”, cioè i fiancheggiatori interni del terrorismo internazionale. E un sorridente ministro della Giustizia, Alberto Gonzales, gli ha risposto: “Il presidente ha già espresso il desiderio di ascoltare le sue idee”. Il verbale della seduta è stato riportato dal Washington Post.
Il 15 febbraio 2006 lo stesso Washington Post ha rivelato che il Centro Nazionale Antiterrorismo (Nctc), basandosi su dati forniti da Cia, Fbi e Nsa, ha stilato una lista di 325 mila terroristi e fiancheggiatori, compresi cittadini statunitensi.
 
Agenti Usa durante una manifestazione‘War on terror’ o ‘War on freedom’? Visto il clima politico che si sta affermando negli Stati Uniti, i timori sul reale utilizzo dei centri di detenzione che costruirà la Halliburton appaiono legittimi. L’ipotesi della trasformazione della democrazia Usa in uno Stato di polizia militarizzato nell’eventualità di un nuovo attacco terroristico stile-11 settembre non è un’ossessione dei teorici della cospirazione, ma un’eventualità data per scontata perfino da personaggi del calibro del generale Tommy Franks, ex comandante del Central Command e delle operazioni in Afghanistan e Iraq ed ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti, che in un’intervista del novembre 2003 ha detto: “Se dovesse verificarsi un evento terroristico tale da provocare un eccidio di massa, l’opinione pubblica diventerebbe favorevole alla sospensione della Costituzione e alla militarizzazione del nostro paese, pur di scongiurare nuovi attacchi. L’intero mondo Occidentale perderebbe così la cosa più cara che ha: la libertà di cui abbiamo goduto negli ultimi duecento anni grazie a quell’esperimento che chiamiamo democrazia”. 

Enrico Piovesana

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