Li costruirà la Halliburton. Ufficialmente per far fronte a emergenze migratorie
La
Kellog Brown & Root (Kbr),
azienda di costruzioni sussidiaria della famosa Halliburton, ha ricevuto dal
Dipartimento Usa per la Homeland Security (il ministero per la sicurezza interna creato dopo l'11 settembre) un appalto
da 385 milioni di dollari per
la costruzione in territorio statunitense di un numero imprecisato di centri di
detenzione, da 5 mila
posti l’uno, da utilizzare in caso di “emergenze nazionali legate a
straordinari flussi d’immigrazione, disastri naturali o per supportare il
rapido sviluppo di nuovi programmi che richiedono spazi di detenzione
addizionali”. La notizia – risalente al
24 gennaio e diffusa dal
New York Times il
4 febbraio – è passata completamente inosservata, suscitando però
l’allarme di chi negli Usa teme l’avvento di uno Stato di polizia con il
pretesto della lotta al terrorismo.
La versione ufficiale non convince. A destare
sospetti sono la storia della Kbr – specializzatasi nella costruzione di centri
di detenzione per i prigionieri di guerra in Iraq e Afghanistan – ma
soprattutto la vaghezza della destinazione d’uso di queste strutture e
l’ambiguità dell’espressione “nuovi programmi”: quali? Il timore è che dietro
questo nebuloso progetto vi siano scopi diversi da quelli annunciati, che tra
l’altro sono ben poco credibili. L’ipotesi di un’invasione di immigrati negli
Usa, tale da scatenare un’emergenza nazionale, è infatti a dir poco irrealistica
e di certo non giustifica un simile investimento. Per non parlare dei disastri
naturali: non si capisce a cosa servano dei campi di prigionia in caso di
terremoti o alluvioni.
Secondo Daniel Ellsberg, ex
analista militare del Dipartimento della Difesa e oggi ricercatore del Centro
Studi Internazionali del prestigioso Massachusetts Institute of Technology, queste
strutture verranno usate come campi d’internamento da usare in occasione dei
“rastrellamenti di mediorientali, musulmani e dissidenti che avverranno dopo il
prossimo attacco in stile 11 settembre”.
Peter Dale Scott, scrittore e giornalista indipendente e
pacifista, sostiene che questi centri “verranno usati per imprigionare
cittadini americani nel caso l’amministrazione Bush dichiari la legge
marziale”.
Maureen Farrell, scrittrice e giornalista anti-Bush, ritiene
“più probabile che questi centri di detenzione verranno usati in situazioni del
tipo post-11 settembre, invece che come centri di detenzione temporanea per
immigrati che si riversassero nel nostro paese”.
Fantasie di menti paranoiche? Non proprio, se si guarda alla
storia Usa e al clima politico che si respira a Washington.
Nel 1982, su impulso del presidente Reagan, l’
Agenzia per le
Emergenze Federali (Fema) mise a punto un piano di “Continuità del Governo” da
attuare in caso di gravi disordini scatenati da un’eventuale invasione
americana del Nicaragua, che prevedeva la “sospensione della Costituzione”, la
“dichiarazione della legge marziale” e il ricorso a campi di prigionia per i
dissidenti. La notizia fu rivelata cinque anni dopo da un
articolo del Miami Herald.
Nel 1984, la Fema e l’esercito, in collaborazione con Cia e
Fbi, hanno svolto una simulazione chiamata
‘Rex 84’ (Readiness Exercise ‘84) per ‘provare’ l’arresto in massa di cittadini
sovversivi, il loro trasporto in treni speciali notturni e il loro
internamento in campi di detenzione.
Democrazia Usa in pericolo dopo l’11 settembre. Poco
dopo l’11 settembre, nel gennaio 2002, il Pentagono ha predisposto un piano di
dispiegamento dell’esercito nelle strade delle città americane in caso di
proclamazione dello Stato d’emergenza, creando a questo scopo anche un nuovo
comando militare al servizio del Dipartimento per la Homeland Security, il
NorthCom,
Comando del Nord. Notizia successivamente confermata da un
articolo del Washington
Post, che svela anche il nome in codice del piano: "Ombra di Granito".
Nel luglio 2002, come
riportato dal Detroit Free Press, Peter Kirsanow, membro della Commissione parlamentare Usa
per i Diritti Civili ha dichiarato: “Prevedo che l’opinione pubblica americana
chiederà campi di internamento per gli arabi americani in caso di un nuovo
attacco terroristico di matrice islamica”.
Un mese dopo, si legge
sul Los Angeles Times, l’allora ministro della Giustizia John Ashcroft ha caldeggiato
la
creazione di campi di detenzione per cittadini americani ritenuti nemici degli
Stati Uniti.
Nell’ottobre 2003 l’Fbi dirama un ordine alle polizie di
tutti gli Stati Uniti affinché inizino a spiare gli attivisti pacifisti che
protestano contro la guerra in Iraq. La notizia è
riportata dal New York Times.

Nell’agosto 2004 a New York 1.200 manifestanti che protestano
contro la convention nazionale del Partito Repubblicano vengono
arrestati e rinchiusi in un centro di detenzione allestito in una ex
rimessa di autobus al Molo 57. I giornali titolano:
"Una Guantanamo sul fiume Hudson".
Nel gennaio 2005, il capo di stato maggiore dell’esercito
Usa, generale Peter Schoomaker, ha emesso un regolamento interno (
il n. 210-35)
per la creazione di “campi di lavoro e di prigionia per detenuti civili
all’interno di installazioni militari”.
Nel giugno 2005,
un documento del Pentagono afferma
che “le forze armate inizieranno a svolgere missioni di difesa nazionale anche
all’interno del territorio nazionale”.
Nel dicembre 2005 l’emittente televisiva
Nbc ha rivelato l’esistenza di un
documento del Pentagono in cui erano
registrate 1.500 manifestazioni pacifiste dei precedenti dieci mesi,
classificate tutte come “incidenti sospetti”, molte addirittura come “minacce
alla sicurezza nazionale”.
Il 6 febbraio 2006, pochi giorni dopo l’assegnazione
dell’appalto alla Halliburton, il senatore repubblicano Lindsey
Graham, membro della Commissione Giustizia del Senato, ha formalmente invitato
l’amministrazione Bush ad impegnarsi seriamente nel “perseguire i
movimenti di
quinte colonne”, cioè i fiancheggiatori interni del terrorismo
internazionale.
E un sorridente ministro della Giustizia, Alberto Gonzales, gli ha
risposto: “Il
presidente ha già espresso il desiderio di ascoltare le sue idee”. Il verbale
della seduta è stato
riportato dal Washington Post.
Il 15 febbraio 2006 lo stesso
Washington Post ha rivelato
che il Centro Nazionale Antiterrorismo (Nctc), basandosi su dati forniti da
Cia, Fbi e Nsa, ha stilato una lista di 325 mila terroristi e fiancheggiatori,
compresi cittadini statunitensi.
‘War on terror’ o ‘War on freedom’? Visto il
clima politico che si sta affermando negli Stati Uniti, i timori sul reale
utilizzo dei centri di detenzione che costruirà la Halliburton appaiono legittimi.
L’ipotesi della trasformazione della
democrazia Usa in uno Stato di polizia militarizzato nell’eventualità di un
nuovo attacco terroristico stile-11 settembre non è un’ossessione dei
teorici della cospirazione, ma un’eventualità data per scontata perfino da
personaggi del calibro del generale Tommy Franks, ex comandante del Central
Command e delle operazioni in Afghanistan e Iraq ed ex candidato alla
presidenza degli Stati Uniti, che in
un’intervista del novembre 2003 ha detto: “Se dovesse verificarsi un evento terroristico tale da provocare un
eccidio di massa, l’opinione pubblica diventerebbe favorevole alla sospensione
della Costituzione e alla militarizzazione del nostro paese, pur di scongiurare
nuovi attacchi. L’intero mondo Occidentale perderebbe così la cosa più cara che
ha: la libertà di cui abbiamo goduto negli ultimi duecento anni grazie
a
quell’esperimento che chiamiamo democrazia”.