scritto per noi da
Federico Frigerio
Scende la notte in Tanzania, la nazione africana che ospita più rifugiati. Nei
campi profughi di Kagera e di Kigoma ha inizio il commercio dei night time spinaches, gli spinaci notturni. Così viene chiamata la carne di specie protette quali
zebre, antilopi, scimpanzé e bufali. Gruppi di uomini armati danno inizio a battute
di caccia nei vicini parchi naturali, durante il giorno meta di turisti occidentali.

Ma di notte, gli stomaci vuoti dei profughi non si pongono questioni animaliste
e pensano solo ad evitare la propria estinzione: con una rete e con un po’ di
fortuna si possono catturare anche dieci babbuini. Il bottino viene trasportato
all’interno del campo per essere cucinato e successivamente venduto ai numerosi
clienti. Questa la sconcertante verità rivelata in un rapporto della
Traffic, organizzazione di monitoraggio degli animali selvatici legata al Wwf: la mancanza
di proteine animali all’interno delle razioni spinge i rifugiati a procacciarsi
direttamente la carne.
Da quando ha ottenuto l’indipendenza, nel 1961, la Tanzania ha accolto i rifugiati
di molte guerre africane, situazione che dalla metà degli anni '90 ha subito una
costante accelerazione. Prima dal Ruanda, ora dal Burundi e dalla Repubblica democratica
del Congo: stime ufficiali dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati
(Unhcr) parlano di più di mezzo milione di profughi nella sola Tanzania occidentale.
Nel 1994, anno del genocidio ruandese, il Burugi National Park fu teatro di caccia indiscriminata: il numero di bufali diminuì da 2670 a soli
44, mentre dei 324 esemplari di antilope sudafricana non v’è più traccia. Nel
2005, all’interno del campo profughi di Lugufu, alcuni profughi congolesi furono
scoperti mentre rinchiudevano in gabbie uno scimpanzé e un piccolo leone, pronti
per essere macellati.

Il rapporto della
Traffic sollecita le organizzazioni umanitarie ad aumentare l’apporto di proteine animali
per i profughi attraverso l’utilizzo di carne in scatola. “L’ampia gamma di carne
selvatica che si consuma nei campi della Tanzania nasconde il fallimento della
comunità internazionale nel rispondere ai bisogni elementari dei profughi”, scrive
nel rapporto il dottor George Jambiya, aggiungendo che “le agenzie umanitarie
stanno chiudendo un occhio sulla vera causa della caccia: la mancanza di proteine
animali nei pasti dei rifugiati”. Il
World Food Programme (
Wfp) fornisce ogni giorno razioni alimentari per 200 mila persone nella sola Tanzania
occidentale: ragioni di budget non permettono al
Wfp di nutrire gli abitanti dei campi profughi con proteine animali, sostituite
con i più economici fagioli. La carne selvatica, più allettante di un piatto di
legumi, è perfino più conveniente della carne di capra o di manzo che si trova
in commercio. Simon Milledge, coautore del rapporto, non nasconde il lato inquietante
di tale lotta per la sopravvivenza: “È folle pensare che uomini che fuggono dagli
spari in patria debbano schivare i colpi delle guardie forestali mentre sono alla
ricerca di cibo”.