05/02/2005versione stampabilestampainvia paginainvia



Colombia, incursione dell'esercito. Ucciso un altro leader contadino
Colombia, ausiliari dell'esercito
“Lo hanno ucciso. Hanno ucciso un altro leader contadino”. La denuncia di un’attivista per i diritti umani, che per ragioni di sicurezza preferisce rimanere anonima, arriva immediata e piena di rabbia. “Hanno aspettato che noi osservatori internazionali ce ne andassimo e poi hanno invaso la comunità. Cinquecento militari sono penetrati con la forza e hanno minacciato chiunque capitasse a tiro. Come sempre, aspettano la fine della visita internazionale per scorrazzare e intimare, proprio come quando in casa una madre vuole picchiare il figlio, ma si trattiene fino a che ci sono ospiti”. La vittima è Pedro Murillo, uno dei capi delle comunità campesinos del Territorio Collettivo di Jiguamiandò, freddato con sei colpi di fucile per mano degli uomini della Brigata 17. Era disarmato.
“E’ successo sabato 29 gennaio – raccontano dal Consiglio comunitario di Jiguamiandò e delle famiglie di Curvaradó dalla Commissione interecclesiale di Giustizia e Pace -. Gli abitanti del villaggio sono stati aggrediti, trattati crudelmente, minacciati di morte. I soldati hanno saccheggiato le loro abitazioni e rubato ogni cosa, anche i beni di prima necessità. Mischiati alla Brigata c’erano anche paramilitari ed ex guerriglieri. La gente è disperata. Ormai si parla anche di civili che, dietro compenso economico, raccontano falsità all’esercito per dar loro scuse ufficiali per aggredire e far sfollare intere comunità da territori ricchi di risorse". 
 
Famiglia colombiana sfollata dalla propria casaUn'abitudine che resta impunita. Donne, bambini, anziani, nessuno è scampato alle botte, alle intimidazioni. “Sono azioni scandalose, che si ripetono puntualmente, ogni settimana – denunciano – e che non andranno che a peggiorare. Purtroppo la Politica di Sicurezza inaugurata dal presidente Uribe non fa che dare legalità ad assassini senza coscienza, che vanno quindi a incrementare le fila dell’esercito e ad ampliarne la forza e la brutalità”. Sono sempre di più gli squadroni che insidiano la quotidianità delle comunità di afrodiscendenti che hanno scelto di vivere con dignità nelle proprie terre, al di là della guerra, dei combattimenti, degli scontri che da oltre quarant'anni insanguinano la Colombia. Senza schierarsi se non con la pace, con la vita.
Colombia, capanne degli sfollati
“Succede sempre così – racconta l’attivista umanitaria – appena i pochi osservatori internazionali che si avventurano in queste amene valli finiscono le loro perlustrazioni, si scatena il finimondo. La semplice presenza di attivisti del ‘Primo mondo’ provoca una sorta di calma apparente, pronta a tramutarsi in tempesta appena le comunità tornano ad essere abbandonate a se stesse. Per questo, affinché le loro condizioni migliorino, affinché questa gente possa finalmente vivere in pace e normalità, è assolutamente indispensabile che questi soprusi vengano denunciati. Occorre abbattere la cortina di silenzio e indifferenza in cui da anni sono segregati i colombiani. Solo così le continue violazioni dei diritti umani, le crudeltà e l’impunità verranno meno”.
E la Commissione interecclesiale lancia un appello impellente e perentorio: “Si richiede urgentemente la presenza umanitaria internazionale e l’aiuto delle autorità statali di controllo affinché verifichino i danni irreparabili e gli attentati alla vita che sono costretti a subire le comunità afrodiscendenti. Ora, immediatamente, prima che le prove di tutto ciò scompaiano. Né la vicepresidenza della Repubblica né il ministro degli interni, nessuno, nessuno assolutamente risponde. Mai. Gli abitanti di Jiguamiandó e del Curvaradó sono vittime dei misfatti dello Stato di Fatto”.

Stella Spinelli

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