Colombia, incursione dell'esercito. Ucciso un altro leader contadino
“Lo hanno ucciso. Hanno ucciso un altro leader contadino”. La denuncia di un’attivista
per i diritti umani, che per ragioni di sicurezza preferisce rimanere anonima,
arriva immediata e piena di rabbia. “Hanno aspettato che noi osservatori internazionali
ce ne andassimo e poi hanno invaso la comunità. Cinquecento militari sono penetrati
con la forza e hanno minacciato chiunque capitasse a tiro. Come sempre, aspettano
la fine della visita internazionale per scorrazzare e intimare, proprio come quando
in casa una madre vuole picchiare il figlio, ma si trattiene fino a che ci sono
ospiti”. La vittima è Pedro Murillo, uno dei capi delle comunità campesinos del
Territorio Collettivo di Jiguamiandò, freddato con sei colpi di fucile per mano
degli uomini della
Brigata 17. Era disarmato.
“E’ successo sabato 29 gennaio – raccontano dal Consiglio comunitario di Jiguamiandò
e delle famiglie di Curvaradó dalla Commissione interecclesiale di Giustizia e
Pace -. Gli abitanti del villaggio sono stati aggrediti, trattati crudelmente,
minacciati di morte. I soldati hanno saccheggiato le loro abitazioni e rubato
ogni cosa, anche i beni di prima necessità. Mischiati alla Brigata c’erano
anche paramilitari ed ex guerriglieri. La gente è disperata. Ormai si parla anche
di civili che, dietro compenso economico, raccontano falsità all’esercito per
dar loro scuse ufficiali per aggredire e far sfollare intere comunità da territori
ricchi di risorse".
Un'abitudine che resta impunita. Donne, bambini, anziani, nessuno è scampato alle botte, alle intimidazioni.
“Sono azioni scandalose, che si ripetono puntualmente, ogni settimana –
denunciano – e che non andranno che a peggiorare. Purtroppo la Politica
di Sicurezza inaugurata dal presidente Uribe non fa che dare legalità
ad assassini senza coscienza, che vanno quindi a incrementare le fila
dell’esercito e ad ampliarne la forza e la brutalità”. Sono sempre di
più gli squadroni che insidiano la quotidianità delle comunità di
afrodiscendenti che hanno scelto di vivere con dignità nelle proprie
terre, al di là della guerra, dei combattimenti, degli scontri che da
oltre quarant'anni insanguinano la Colombia. Senza schierarsi se non
con la pace, con la vita.

“Succede sempre così – racconta l’attivista umanitaria – appena i pochi osservatori
internazionali che si avventurano in queste amene valli finiscono le loro perlustrazioni,
si scatena il finimondo. La semplice presenza di attivisti del ‘Primo mondo’ provoca
una sorta di calma apparente, pronta a tramutarsi in tempesta appena le comunità
tornano ad essere abbandonate a se stesse. Per questo, affinché le loro condizioni
migliorino, affinché questa gente possa finalmente vivere in pace e normalità,
è assolutamente indispensabile che questi soprusi vengano denunciati. Occorre
abbattere la cortina di silenzio e indifferenza in cui da anni sono segregati
i colombiani. Solo così le continue violazioni dei diritti umani, le crudeltà
e l’impunità verranno meno”.
E la Commissione interecclesiale lancia un appello impellente e perentorio: “Si
richiede urgentemente la presenza umanitaria internazionale e l’aiuto delle autorità
statali di controllo affinché verifichino i danni irreparabili e gli attentati
alla vita che sono costretti a subire le comunità afrodiscendenti. Ora, immediatamente,
prima che le prove di tutto ciò scompaiano. Né la vicepresidenza della Repubblica
né il ministro degli interni, nessuno, nessuno assolutamente risponde. Mai. Gli
abitanti di Jiguamiandó e del Curvaradó sono vittime dei misfatti dello Stato
di
Fatto”.