27/01/2010versione stampabilestampainvia paginainvia



Conferenza internazionale sullo Yemen: tutti per Saleh, perché manca l'alternativa

"Secondo quanto riferito da personalità di spicco dell'Amministrazione, squadre speciali delle forze armate Usa e le agenzie di intelligence statunitensi sono profondamente coinvolte in operazioni segrete congiunte con le truppe dello Yemen. Nelle precedenti sei settimane, in queste operazioni hanno perso la vita tante persone, tra le quali 15 dei più importanti leader di al-Qaeda nella regione". Lo scrive, oggi, Dana Priest sul quotidiano Usa Washington Post.

Friends of Yemen. La notizia arriva alla vigilia della conferenza internazionale sullo Yemen organizzata dal ministro degli Esteri britannico David Milliband e voluta dal premier Gordon Brown, a margine della conferenza sull'Afghanistan in corso a Londra. La riunione, dedicata agli aiuti allo sviluppo dello Yemen e alla lotta alla penetrazione di al-Qaeda nel Paese della Penisola Islamica, è iniziata ieri sera e continuerà oggi negli edifici della Lancaster House, a due passi dalla residenza reale di Buckingham Palace, in mezzo a misure di sicurezza imponenti. Attorno al tavolo, convocato da Borwn dopo il fallito attentanto di Natale sul volo Amsterdam - Detroit, siederanno 21 delegazioni, tra cui Unione Europea, Usa, Consiglio di Cooperazione del Golfo (Gcc) e il ministro degli Esteri yemenita Abu Bakr Abdallah al-Qirbi. Proprio quest'ultimo, pochi giorni dopo il fallito attentato, si era rivolto alla comunità internazionale: "L'Occidente non fa abbastanza per aiutarci contro al-Qaeda. Facciamo quel che possiamo, combattendo il terrorismo, mentre siamo impegnati dalla ribellione sciita nel nord e dai separatisti nel sud del Paese. Abbiamo bisogno di maggiore formazione per le nostre unità speciali che si occupano di anti-terrorismo. Dobbiamo reclutare e addestrare nuove reclute, armarle e rifornirle di mezzi di trasporto, in particolar modo di elicotteri, necessari per battere le zone montagnose dove trovano rifugio i fondamentalisti. Sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna possono fare di più. Sono almeno 300 gli effettivi di al-Qaeda attivi nel Paese e attraversiamo un periodo difficile, ma non abbiamo bisogno dell'invio di truppe Usa, come hanno scritto alcuni giornali esagerando un po'". L'appello di al-Qirbi arrivava in risposta alle critiche mosse al suo governo, incapace di intercettare Umar Farouk Abdulmutallab, il 23enne nigeriano che ha tentato di farsi esplodere il 26 dicembre scorso sul volo Detroit - Amsterdam, dopo essere stato addestrato in Yemen e dopo la rivendicazione firmata al-Qaeda in Yemen del tentato attacco terroristico.
L'idea attorno alla quale verteranno i lavori della conferenza è quella di creare un gruppo chiamato Friends of Yemen, per coordinare politiche di sviluppo e di repressione con il governo di Sana'a.

Bombe poco intelligenti. In realtà, da quello che scrive il Washington Post, di sviluppo se ne vede poco mentre le azioni di appoggio militare Usa sono già in atto. Secondo il quotidiano Usa, lo stesso presidente Obama ha approvato le operazioni - sei settimane fa, dopo l'attentato, i tempi sembrano credibili - del Joint Special Operations Command (Jsoc), un'unità di uomini selezionati per stanare ed eliminare i leader qaedisti. Non scendono sul terreno, ma forniscono le informazioni di intelligence che guidano i bombardamenti aerei e armano i militari yemeniti. Il Congresso Usa, per il 2010, ha stanziato 90 milioni di dollari per lo Yemen, ma non per aiuti umanitari. Anzi, in almeno due occasioni le informazioni fornite dal Jsoc all'aviazione dello Yemen si sono rivelate errate e hanno causato la morte di civili innocenti. Per migliorare il coordinamento, negli ultimi mesi, a Sana'a si sono recati personaggi di spicco dell'amministrazione Obama. Il generale David Petraeus, l'uomo che ha cambiato il bilancio della guerra in Iraq, John Brennan, consigliere per la lotta al terrorismo di Obama, il vice ammiraglio William McRaven, capo del Jsoc. La cooperazione con lo Yemen, però, risale all'ottobre 2000, dopo un attentato contro il cacciatorpediniere Uss Cole della marina militare Usa ormeggiato nel porto di Aden, dove morirono 17 marinai statunitensi. La collaborazione, su un progetto dell'allora direttore della Cia George Tenet, venne implementata dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 a New York e Washington. Tenet inviò elicotteri da combattimento e cento specialisti dei corpi speciali Usa per formare i militari yemeniti, oltre a fornire i droni (aerei senza pilota) Predator che sono stati utilizzati anche in questi giorni. Solo che i risultati sono stati molto scarsi. Il presidente yemenita Abdullah Saleh è una vecchia volpe e, per anni, ha usato i mezzi militari e finanziari Usa per i suoi problemi interni: la ribellione degli sciiti nel nord del Paese e le tendenze secessioniste nel sud dello Yemen. La sensazione, visti i risultati, è che in molti a Washington non si fidano più di Saleh, ma lo Yemen è un Paese chiave per al-Qaeda e all'orizzonte non si vedono alternative all'attuale leadership di Sana'a. Ecco allora la conferenza di Londra, dove si studierà come implementare la lotta la gruppo che si è battezzato al-Qaeda nella Penisola Arabica, ma anche dove si lavorerà a strategie meno militarizzate di persuasione dei combattenti. Una tecnica, ideata da Petraeus, che punta a finanziare gruppi locali per metterli contro al-Qaeda e nel convincere con mezzi economici alcuni leader di al-Qaeda a cessare le operazioni armate e a collaborare per l'arresto di elementi chiave dell'organizzazione. In Yemen il 'nemico numero uno' è l'imam radicale Anwar al-Awlaki, nato e cresciuto negli Stati Uniti.

Strategia regionale. Mettere a punto, dunque, una strategia nuova e che preveda tutti gli strumenti possibili per scovare e neutralizzare i leder qaedisti. Saleh, per quanto screditato, è ancora troppo importante come intterlocutore regionale. Non è da escludere, dunque, che sotto l'ombrello dei Friends of Yemen finiscano anche aiuti militari dedicati genericamente alla lotta ad al-Qaeda, ma che verranno utilizzati contro i secessionisti del sud e i ribelli sciiti del nord. Da mesi membri del governo yemenita continuano a insistere su improbabili alleanze tra al-Qaeda e questi schieramenti, proprio per far passare il messaggio che combattere al-Qaeda significhi combattere a prescindere i nemici di Saleh. Inoltre, come aiuti umanitari, arriveranno garanzie al governo yemenita di ricevere aiuti per i profughi del Corno d'Africa, in fuga dalla Somalia, dall'Etiopia e dall'Eritrea che, con tutti i mezzi, passano il Golfo di Aden per sbarcare nei campi profughi in Yemen. Milioni di rifugiati hanno mandato in tilt il già precario sistema sanitario e di gestione umanitaria del Paese. Saleh, tanto per cambiare, ha chiesto aiuto perché tra i profughi potrebbero nascondersi militanti al-Sahab, le milizie integraliste somale. Un quadro improbabile, ma non cancella il dissesto delle risorse idriche yemenite acuito dalla crisi umanitaria. Da non dimenticare, inoltre, che secondo il governo di Sana'a. Dietro la ribellione sciita c'è l'Iran. Un'altra buona scusa per chiedere aiuto? Può essere, ma di sicuro l'instabilità regionale nella Penisola Arabica rappresentata dalle minoranze sciite è enorme. Lo sa bene l'Arabia Saudita, ormai totalmente coinvolta nella lotta con i seguaci di al-Houti, il predicatore sciita che fa tremare sia Riad che Sana'a. Anche in Bahrain, dove gli Stati Uniti hanno parcheggiato la Quinta Flotta, in posizione strategica anti Iran, la tensione tra gli sciiti (che sono la maggioranza, sotto il giogo di una monarchia sunnita) e il governo di Manama sale. Ieri la notizia, diffusa dal governo del Bahrain, che è stato arrestato un gruppo di persone che preparavano un attentato contro interessi Usa nel Paese.
Non saranno certo le poche ore della conferenza di Londra a cambiare le condizioni di un Paese come lo Yemen che vive una crisi senza precedenti, ma c'è da sperare che per una volta non si punti solo alla risposta militare.

Christian Elia

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