Il pomeriggio della domenica del 28 febbraio scorso, io e altri amici abbiamo avuto conferma che il consolato iraniano di Milano avrebbe tenuto una festa al teatro Dal Verme di lì a poche ore. L'organizzazione della festa era evidentemente avvenuta in segreto per evitare sit-in e manifestazioni da parte degli iraniani che spesso protestano in occasione delle celebrazioni delle ambasciate in giro per il mondo.
A causa dello scarso preavviso, alle 18:00 eravamo davanti al teatro soltanto in undici: due italiani e nove iraniani. Ognuno di noi teneva in mano un foglio di formato A3, che contenevano: un'immagine di Neda (la ragazza uccisa dal un basij la scorsa estate), l'immagine di vari giovani condannati a morte con l'accusa di aver partecipato a pacifiche manifestazioni e un cartello con scritto "stop killing people". Come abbiamo sempre fatto in tutte le manifestazioni e i sit-in, avevamo tutti gli occhiali da sole e le sciarpe alzate sul naso, qualcuno aveva anche un cappellino da baseball. Lo scopo delle copertura non è mai stato quello di non essere riconoscibili dalle forze dell'ordine italiane ma volevamo semplicemente evitare che il consolato - come al solito - ci scattasse delle fotografie, ci riconoscesse e fosse in grado di ricattarci o di crearci problemi con i visti e i passaporti. E' un problema che possono avere sia gli iraniani che gli italiani che viaggiano in Iran. La polizia sapeva chi eravamo e ci ha infatti riconosciuti personalmente nonostante le coperture: infatti era stata avvisata con una telefonata del nostro avviso.
Mentre stazionavamo sul marciapiede di fronte al teatro Dal Verme con i cartelli, senza urlare slogan e senza muoverci, siamo stati circondati da circa venti poliziotti italiani in assetto antisommossa, con caschi, manganelli e scudi. Ci hanno intimato di andare via in quanto stavamo tenendo una "manifestazione non autorizzata". Non ci siamo rifiutati di muoverci, ma prima di decidere abbiamo chiesto spiegazioni: la nostra non era una manifestazione, eravamo solo in 11, fermi in piedi, senza dare fastidio a nessuno. Il sottufficiale della polizia ha alzato la voce e ha dichiarato che se non fossimo andati via ci avrebbero identificati e non avrebbe rinnovato il permesso di soggiorno. Abbiamo continuato a chiedere, con calma e senza alzare i toni, il motivo e la ragione di un tale provvedimento. Il sottufficiale ha alzato ulteriormente i toni e ha minacciato un ragazzo che stava facendo fotografie di sequestrargli la macchina fotografica.
Gli abbiamo detto che avevamo il diritto di fare fotografie. Lui ha risposto con parolacce e dicendo che dovevamo immediatamente scoprirci la faccia, altrimenti avrebbe proceduto all'arresto. A quel punto gli abbiamo fatto notare che lui sapeva perfettamente chi fossimo e che non aveva bisogno di farci scoprire la faccia e che inoltre sopra il teatro Dal Verme, su una balconata, tre uomini - ciascuno armato di un teleobiettivo - ci stavano scattando fotografie. Era ovvio fossero uomini del consolato e non aspettavano altro che vederci a volto scoperto. Di fronte al mio rifiuto di abbassarmi la sciarpa dalla bocca ha dato l'ordine di arrestarmi: sono stato sollevato dagli agenti e allontanato dal gruppo. Gli altri, impauriti, si sono scoperti il viso. I fotografi del consolato li hanno fotografati ed identificati dalla balconata del teatro. Sollecitati dalle minacce di ritiro del permesso di soggiorno, gli altri studenti iraniani si sono allontanati dal teatro. A quel punto sono stato rilasciato.
Perché siamo stati mandati via? Perché siamo stati obbligati a farci identificare dal regime? Si è trattato di un errore? Sono domande che chiunque voglia capire la natura dei rapporti tra l'Italia e l'Iran farebbe bene a tenere aperte.
Italo Bresci