12/03/2004versione stampabilestampainvia paginainvia



Le forze armate Usa hanno negato ieri ogni responsabilità per la strage di Hutala
Aerei A-10 ThunderboltIeri le forze armate statunitensi si sono autoassolte per la strage di Hutala del 6 dicembre scorso, in cui nove bambini afgani sono stati dilaniati dalle raffiche di proiettili anticarro sparate dalle mitragliatrice di due aerei A-10 Thunderbolt. “Una commissione d’inchiesta militare – ha dichiarato con soddisfazione il portavoce delle forze Usa in Afghanistan, colonnello Bryan Hilferty – ha stabilito che in quell’occasione sono state rispettate le regole d’ingaggio e non sono state violate in alcun modo le leggi di guerra”. Le Nazioni Unite hanno chiesto la pubblicazione del rapporto della commissione, ma Hilfery lo ha categoricamente escluso affermando che si tratta di documentazione ‘top secret’ e che nessun particolare sull’incidente verrà divulgato.
 
Vale la pena ricordare cosa accadde. Quella mattina, a Hutala, nella provincia meridionale di Ghazni, un gruppetto di bambini stava giocando tra le case quando due aerei anticarro A-10 americani sono arrivati e hanno aperto il fuoco contro una delle abitazioni bersagliandola con raffiche di proiettili esplosivi del calibro di tre centimetri, quelli utilizzati solitamente per perforare le corazze d’acciaio dei carri armati. I bambini che, si trovavano nelle vicinanze, hanno cercato di scappare, ma sono stati tutti colpiti e uccisi. Sul terreno sono rimasti i loro corpi straziati, i loro vestiti insanguinati, le loro scarpette e i loro piccoli cappellini tondi, assieme a una quarantina di crateri del diametro di mezzo metro. Le nove piccole vittime, di età compresa tra i nove e i dodici anni, vennero seppellite appena fuori dal villaggio.
 
I comandi Usa si erano subito difesi affermando che il raid era diretto contro un comandante talebano locale, il mullah Wazir. Ma dentro la casa colpita c’era solo Abdul Mohammed, un ex profugo appena tornato dall’Iran, mentre lui, il mullah, se ne era andato da dieci giorni. Questa vicenda aveva provocato un forte risentimento nell’opinione pubblica afgana, perfino negli ambienti governativi di Kabul, solitamente tolleranti verso gli eccessi e gli errori degli ‘amici americani’. Ma solo il giorno prima, il 5 dicembre, altri sei bambini e i loro genitori erano rimasti uccisi in un altro attacco delle forze statunitensi in un villaggio vicino a Gardez, nella vicina provincia di Paktia.
 
L’episodio è ricordato anche nell’ultimo rapporto della prestigiosa associazione americana per la difesa dei diritti umani Human Rights Watch (Hrw), “Enduring Freedon: abusi delle forze Usa in Afghanistan”. Quel giorno, nel villaggio di Kosween, distretto di Sayed Karam, Ikhtari Gul, un contadino di 35 anni, sua moglie Khela, le loro quattro figlie, Kadran, Anara, Daulat Zai e Khela, e i loro due figli, Asif e Nemetullah, erano in casa quando sono arrivati gli americani. Sono arrivati in forze, con mezzi blindati e appoggio aereo. Hanno circondato il villaggio e attaccato l’abitazione del mullah Jalani, sospettato di essere un comandante dell’Hezb-e Islami, il partito armato del leader integralista Gulbuddin Hekmatyar che combatte a fianco della resistenza neo-talebana contro le truppe d’occupazione Usa e il governo di Hamid Karzai. L’edificio di Jalani è stato pesantemente bombardato dal cielo e da terra. Nell’azione è stata colpita anche la casa di Ikhtari Gul (come dimostra un largo buco rimasto sul muro dell’edificio): una parete è crollata, uccidendo tutta la famiglia. Ovviamente, anche questa volta, l’obiettivo dell’azione è stato mancato.
 
Le voci sulla morte di otto civili si erano subito diffuse. Erano arrivati i giornalisti, ma i militari americani, rimasti ad occupare il villaggio assieme alle milizie afgane, avevano vietato loro l’accesso. Solo dopo alcuni giorni, in seguito alle pressioni della stampa e dello stesso governo afgano, il solito colonnello Hilferty aveva ammesso la morte dei civili, dando però una versione dei fatti molto particolare. “Le forze Usa non sono direttamente responsabili per queste morti, dovute all’esplosione dell’armeria che si trovava nel compund di Jalani. Non è colpa nostra se i civili si circondano di armi e artiglieria. Noi ci abbiamo provato a non uccidere nessuno”.
 
Enrico Piovesana 
Categoria: Guerra
Luogo: Afghanistan