05/05/2006versione stampabilestampainvia paginainvia



In Afghanistan c'è una guerra, sempre più sanguinosa. Dovremmo andarcene anche da là
Kabul come Nassirya. L’Afghanistan come l’Iraq. Ma non ci avevano detto che la guerra in Afghanistan era finita? Che regnava la pace, tranne qualche “scorribanda talebana”? Il tragico attentato di Kabul, costato la vita a due nostri militari, non è una casualità isolata, un incidente di percorso in un contesto di pace e tranquillità. E’ la drammatica dimostrazione che la guerra in Afghanistan non è mai finita, perché la resistenza armata dei talebani non solo non è stata sconfitta, ma non è mai stata così forte come lo è oggi.
 
Attentato kamikaze dei talebaniI numeri parlano chiaro. I primi tre anni di ‘dopoguerra’ hanno visto un progressivo indebolimento della resistenza talebana e un conseguente calo dell’intensità dei combattimenti: 1.500 morti nel 2002, mille nel 2003, settecento nel 2004. Ma poi il vento è cambiato. I talebani rifugiati in Pakistan si sono riorganizzati grazie al sostegno dei servizi segreti di Islamabad (Isi), all’appoggio dei movimenti integralisti pachistani e alle armi acquistate con gli incassi record del raccolto d’oppio 2004. Così nel 2005, i guerriglieri del mullah Omar sono dilagati dal confine pachistano riprendendo sostanzialmente il controllo di tutto l’Afghanistan meridionale e infiltrandosi anche nelle maggiori città. Il 2005 si è chiuso con il bilancio più pesante del ‘dopoguerra’: duemila morti, di cui la metà talebani (o presunti tali), 330 civili, 430 militari afgani, 99 soldati Usa (il doppio che negli anni precedenti) e 30 soldati del contingente Isaf-Nato (contro i 6 del 2004). E il 2006 si è aperto nel segno della stessa preoccupante tendenza. Nei primi quattro mesi dell’anno si contano già 751 morti, di cui 148 civili, 265 talebani, 302 militari afgani, 26 soldati Usa e 10 del contingente Isaf-Nato. Con in più l’inquietante novità del ricorso, da parte dei talebani, agli attentati suicidi, ormai quasi quotidiani.
 
Soldati Isaf a KabulPer noi italiani, tutto questo è una dolorosa scoperta.
Per gli statunitensi, invece, era una realtà acquisita da tempo. Il drastico aumento delle perdite nel corso del 2005 – politicamente insostenibile se sommato a quelle irachene – li ha costretti a ritirarsi dalle zone più pericolose (Kandahar, Helamand e Uruzgan), lasciando agli alleati della Nato il compito di combattere i talebani al posto loro, accettando con cinque anni di ritardo le profferte di aiuto bellico che l’Alleanza mise sul tavolo della Casa Bianca all’indomani dell’11 settembre 2001. Questo significa far cambiare la natura della missione Isaf: da missione di pace e stabilizzazione a missione di guerra. Una rivoluzione che in Italia è passata sotto silenzio, ma che in altri paesi coinvolti ha suscitato aspri dibattiti e polemiche e incontrando non poche resistenze. Che alla fine, però, sono state messe a tacere. Londra, Ottawa e Amsterdam hanno invitato nel sud dell’Afghanistan 7.400 soldati (3.500 britannici, 2.300 canadesi e 1.600 olandesi), consentendo agli Stati Uniti di smobilitare migliaia di soldati. I nuovi arrivati hanno capito subito che aria tirava. I talebani li hanno accolti a colpi di agguati, attentati suicidi, attacchi missilistici, che hanno già causato diversi morti. Gli ultimi quattro il 22 aprile, quattro soldati canadesi, uccisi a Kandahar da una bomba artigianale, esattamente come gli italiani ieri a Kabul.
 
Caccia Amx italianoNonostante il silenzio che in Italia ha accompagnato la notizia di questa nuova guerra in cui il nostro Paese veniva coinvolto in quanto membro della Nato, anche il nostro impegno militare in Afghanistan è aumentato, non in termini di uomini, ma di mezzi: mezzi da combattimento. Come si è saputo a febbraio ed è recentemente stato confermato dal capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, generale Leonardo Tricarico, prossimamente l’Italia invierà in Afghanistan sei cacciabombardieri Amx che svolgeranno attività di supporto alle truppe a terra, impegnate anche in missioni di combattimento. In Afghanistan l’Italia è in guerra perché in Afghanistan c’è una guerra. La tragedia di Kabul lo dimostra. E dimostra che, prima che sia troppo tardi, sarebbe il caso d’iniziare a parlare di un “exit strategy” italiana anche per l’Afghanistan.
 

Enrico Piovesana

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