Un rapporto delle Nazioni Unite, ottenuto dalla Reuters e che sarà presentato domani davanti al Consiglio di Sicurezza, accusa dieci
Paesi africani e mediorientali di violare l’embargo sulle armi in Somalia, foraggiando
un conflitto che in 15 anni ha provocato più di mezzo milione di morti. Sul banco
degli imputati, ancora una volta, finiscono Eritrea ed Etiopia.
Accuse. Le 80 pagine di rapporto, redatte da quattro esperti, individuano dieci Stati
che avrebbero fornito armi al governo di transizione e all’Unione delle Corti
islamiche, le quali da alcuni mesi controllano la capitale Mogadiscio e buona
parte del sud del Paese. Dalla parte delle Corti si sarebbero schierati Egitto,
Libia, Arabia Saudita, Gibuti, Iran e Siria, che avrebbero spedito armi, munizioni
e uomini attraverso l’Eritrea. Quest’ultima sarebbe inoltre responsabile dell’addestramento
di buona parte dei miliziani controllati dalle Corti. Dall’altra parte, il governo
riceverebbe armi da Uganda, Yemen, ma soprattutto Etiopia, che secondo il rapporto
avrebbe inviato in Somalia almeno 3.300 uomini, tutti schierati a protezione del
triangolo di Baidoa, l’unica enclave meridionale controllata dal governo e circondata
ormai da settimane dalle Corti.
Smentite. A beneficiare maggiormente di queste forniture di armi sarebbero state proprio
le Corti, che in estate avrebbero addirittura spedito 720 combattenti in Libano
a fianco di Hezbollah. Preoccupano soprattutto i presunti legami intrattenuti
tra queste e l’Iran, che in cambio di armi e addestramento avrebbe messo mano
su un carico di uranio da destinare al programma atomico di Teheran. Accuse tutte
ancora da provare, seccamente smentite dai diretti interessati. Se alcuni governi
hanno preferito infatti trincerarsi dietro un “no comment”, altri (Eritrea in
primis) sono andati oltre, definendo l’Onu un pupazzo nelle mani degli Stati Uniti
e accusandola di destabilizzazione. Il governo somalo al momento non ha rilasciato
alcun commento, mentre le Corti islamiche hanno definito il rapporto “una fabbricazione
senza credibilità”, secondo quanto riportato dalla
Reuters.
Embargo. L’embargo sulle armi, imposto nel lontano 1992, è stato sistematicamente violato,
anche grazie alla mancanza di autorità che in Somalia possano controllare il flusso
di armi e uomini provenienti dai Paesi vicini. E’ infatti innegabile che il conflitto
prosperi grazie ai pochi scrupoli di questi ultimi. Etiopia ed Eritrea figurano
come i principali imputati, che in Somalia starebbero combattendo una guerra per
procura, prolungamento di quella conclusasi al confine tra i due Paesi nel 2000.
Invano il Segretario Generale dell’Onu, Kofi Annan, ha richiamato all’ordine gli
Stati del Mar Rosso, perché non intervengano in una crisi che rischia di coinvolgere
l’intera regione. Il dialogo tra Corti e governo langue e la recente iniziativa
del portavoce del Parlamento somalo, recatosi a Mogadiscio per trattare direttamente
con le Corti, è stata sconfessata dal governo. Nei prossimi giorni le Corti dovrebbero
incontrarsi a Gibuti con i mediatori dell’
InterGovernmental Agency for Development per riallacciare il dialogo ed evitare una guerra a tutto campo con il governo.
Eritrea ed Etiopia permettendo.