20/08/2007versione stampabilestampainvia paginainvia



Da cecchino in Iraq ad attivista contro la guerra. La storia di Eleonai 'Eli' Israel


Due mesi fa, ho preso una decisione che ha cambiato la mia vita per sempre. Come soldato, un agente Jbv (Joint Visitors Bureau n.d.r.) del servizio di sicurezza, e come cecchino dell'esercito che ha trascorso un periodo di un anno in Iraq (prendendo parte ad oltre 250 missioni di combattimento), mi sono rifiutato di continuare a far parte dell'occupazione. Non ho rimpianti. Questa è la mia storia. In questo momento, ora che scrivo, sono parcheggiato qui in Kuwait, in “stand by”, attendendo di tornare negli Stati Uniti, spero un giorno di questa settimana. Dopo essere uscito dal carcere militare la scorsa settimana, è ora previsto il mio congedo dalle forze armate entro questo mese. Sono in attesa di potermi unire ai movimenti che si oppongono al conflitto in Iraq, come ad esempio Courage to resist e Iraqi Veterans Against the War
Cosa è stato a condurre qui la mia vita?
 
eli in iraqL'arruolamento. La prima volta sono entrato nel Corpo dei Marines degli Stati Uniti nella primavera del 1999, nel mese del mio diciottesimo compleanno. Sono cresciuto sotto la custodia dello stato del Kentucky, e avendo soltanto sporadici contatti con i miei genitori naturali, dall'età di tredici anni. Non avevo nessun sostegno di tipo familiare, e sono presto finito sulla strada, a fare ciò che fanno tutti i ragazzi di strada.
Ancor prima di aver compiuto 16 anni avevo conosciuto le droghe pesanti. Ho smesso di andare a scuola a metà del nono livello ed ero esperto soltanto di astuzie da strada, sentivo in me una incontrollabile spinta all' ambizione e avevo modi da duro.
Quando entrai nella stazione di reclutamento ho appreso che per poter entrare a far parte del corpo dei Marines, avrei dovuto essere in possesso di un diploma di high school oppure di un Ged (General Educational Development, un diploma equivalente a quello che si può ottenere al termine della high school, e che è previsto per coloro che da adulti vorrebbero recuperare e ottenere un titolo di studio equipollente n.d.r.), a meno che non avessi certi documenti di un college. Quando ho detto loro che avevo sedici anni e che avevo frequentato la scuola soltanto fino all'ottavo livello, mi hanno liquidato in fretta, pensando di non rivedermi. Si sbagliavano.
Non soltanto ho ottenuto il mio Ged, ma ho anche completato un semestre presso il college locale. Un anno e mezzo dopo, quando ho compiuto diciotto anni nel marzo del 1999, sono tornato in quella stessa stazione, ho parlato con lo stesso addetto al reclutamento, gli ho mostrato il mio Ged e i documenti del college, e ho provato per la prima volta una profonda sensazione di orgoglio.
Tredici settimane dopo il mio arrivo a Parris Island, ero cambiato per sempre. Mi sono laureato a capo di un plotone, in seguito ad una promozione per merito, ed ero pronto ad iniziare la mia fulgida carriera nel corpo dei Marines. Poi, arrivò l'11 settembre 2001.
 
mitragliere usa in azione in iraqDi nuovo nell'esercito, per la mia nazione. Come molti altri, dopo l'11 settembre volevo rimettermi al servizio della patria. Sentivo di poter dare alla mia nazione qualcosa in più, dopo gli anni di addestramento. Credevo fermamente che il mio presidente e i miei superiori mi stessero dicendo la verità. Avevo inoltre fiducia nella mia integrità. Sapevo che non avrei mai fatto volontariamente nulla che fosse immorale o sbagliato. Sono tornato nelle forze armate nel 2004, stavolta nell'Esercito della Guardia Nazionale. All'epoca pensavo che coloro che si mettevano al servizio della “Guerra globale al terrorismo” lo scegliessero perché credevano in ciò che stavano facendo, e non perché obbligati da un contratto oppure costretti a restare per via della politica statunitense dello stop-loss (nel 2004 l’amministrazione americana decise di mantenere in servizio le truppe coinvolte nella “lotta globale al terrorismo” prolungando il periodo di permanenza dei soldati contro la loro volontà, impedendone di fatto il ritorno a casa al termine del servizio volontario n.d.r.). Dopo aver visto la situazione sul campo, sono certo che mi sbagliavo. Nel 2006, mi sono imbarcato per l’Iraq.
In Iraq avevo il compito di agente di sicurezza presso il Jbv (Joint Visitors Bureau), ufficio che si occupava di garantire il servizio di sicurezza ai “generali a tre stelle e superiori e ai loro equivalenti civili”, vale a dire anche il Vicepresidente, il Segretario della Difesa, il capo del Joint Chiefs of Staff (che racchiude tutte le maggiori cariche a capo dei rami in cui si snodano le forze armate statunitensi n.d.r.), gli uomini con carica equivalente per ciascuno dei “nostri alleati”, e altri. Mi sono addestrato a fare il mio lavoro di membro di questa “unità speciale”, prima di essere impiegato, e ho trascorso la maggior parte dei miei viaggi in compagnia delle persone più potenti connesse alla “guerra globale al terrorismo”. Anche come agente Jbv, il mio compito principale restava la fanteria. Nei giorni in cui non erano previste missioni di sicurezza, potevamo essere chiamati per missioni “search and cordon” (missione di ricerca dei miliziani all’interno del cordone di sicurezza della città di Baghdad senza preavviso, in italiano “isola e ricerca” n.d.r.)e altri compiti di fanteria. Perciò, anche se lavoravo per il Jbv, ero anche nell’elenco di un plotone di cecchini impiegati in svariate missioni “fuori dalla zona di sicurezza”, come ad esempio lo sniper overwatch (letteralmente il pattugliamento dei cecchini n.d.r.)o le incursioni nelle case. Mi convincevo che le mie azioni trovassero una giustificazione nella “legittima difesa”. Ma comunque, sono arrivato a comprendere quanto sbagliata fosse la mia percezione. Ero in una nazione nella quale non avevo nessun diritto di stare, violando l’esistenza delle persone, e facendolo senza alcuna attenzione a mantenere gli stessi livelli di dignità e lo stesso rispetto che noi americani portiamo alle nostre case e alle nostre vite.
 
un militare usa piange un compagno cadutoDistruggendo vite. Ho tolto e/o distrutto la vita di persone che stavano cercando soltanto di proteggere la propria famiglia, affinché non diventasse il “danno collaterale” del giorno. I giovani iracheni stanno unendosi a gruppi come Al Quaeda per gli stessi motivi che spingono i ragazzi di strada negli Usa a unirsi a bande come i Cribs o i Bloods. Si tratta di proteggere se stessi, di un senso di dignità, e di resistere.
Al ragazzo cui abbiamo “accidentalmente” ucciso il padre ed un cugino, con madre e fratelli che piangono ogni volta che un carrarmato attraversa il quartiere, non interessa sapere chi sia Osama Bin Laden. I “miliziani” che abbiamo attaccato erano solitamente molto simili ad un gruppo di controllo armato del quartiere che non riconosceva il governo. Nemmeno noi credevamo al governo, ma lo abbiamo ugualmente messo al potere! I nostri sacrifici, per quanto tragici ( e lo sono, tragici), sono minimi, se paragonati alla carneficina che è stata perpetrata contro la gente dell’Iraq. Il vero “successo” in Iraq non è una questione di “calo” del numero delle vittime nelle forze della coalizione. Il successo sarebbe la fine della catastrofe che abbiamo inflitto ad un’intera società, e il ripristino della sua dignità e sovranità.
Gli iracheni continuano a morire con un tasso dieci-venti volte superiore a quello delle forze della coalizione. Nella sola Baghdad, e dopo cinque anni e 950 miliardi di dollari spesi, la popolazione soffre per la mancanza di acqua ed energia, che può protrarsi anche per settimane. Il giorno in cui ho visto me stesso riflesso nello sguardo carico di odio di un giovane ragazzo iracheno che stava di fronte a me, è stato il giorno in cui ho capito che non avrei più potuto continuare a giustificare il mio prendere parte all’occupazione.
Provo invidia per quel soldato che è stato in grado di intuire l’ingiustizia di questa guerra da subito, e che ha il coraggio e la convinzione di opporsi ad essa. Ci sarà chi biasimerà i soldati che hanno volontariamente anteposto la propria morale all’ambizione politica. Ciò che importa è decidere. Non importa se hai scelto di non arruolarti affatto, o se ti sei reso conto dopo il tuo ingresso nelle forze armate di essere stato deluso da un livello di integrità di molto inferiore a quello che pensavi, il momento in cui hai capito quale era la verità, quello era il momento di fare una scelta. Il mio arrivò quando mi mancavano soltanto tre settimane di servizio in missione, durante l’anno che ho trascorso in Iraq. La consapevolezza della propria etica non ha un momento preciso per manifestarsi. Quando ho fatto la mia scelta, ho informato la catena di comando riguardo i miei convincimenti. Potevo già immaginare da questa prima conversazione che le cose non sarebbero andate bene da quel momento in avanti. Dissi loro che ritenevo illegale la nostra presenza in Iraq. Ho spiegato che non credevo più in una strategia politica di guerra, e che avrei fatto domanda per fare obiezione di coscienza. In parole povere, non potevo più in coscienza partecipare ad azioni di combattimento contro la gente irachena.
 
eliMai più. Pochi secondi dopo aver pronunciato queste parole, la mia vita è cambiata. Ho sentito in me la più profonda sensazione di pace mai provata da più di un anno. Ero certo di aver fatto la cosa giusta. Subito dopo, sono stato disarmato, messo in isolamento, e mi è stato proibito di avere contatti con qualsiasi famigliare o parente.
Sono stato messo illegalmente in isolamento, su di una branda in una sala operatoria, sorvegliato 24 ore su 24, seguito da una scorta persino al bagno, prima di essere formalmente accusato, due settimane più tardi, di aver rifiutato di eseguire un ordine. Sono rimasto confinato fino a quando non mi sono dichiarato colpevole (non avevo molta scelta) ,meno di una settimana dopo questi fatti. Sono stato immediatamente trasferito a Camp Arifjan, in Kuwait, per restare trenta giorni dentro la prigione locale. Sono stato rilasciato l’altro giorno e ora sto per essere “cacciato” con un “tutt’altro che onorevole” congedo. Non rimpiango nulla. Una volta che ho parlato al mio comando chiarendo le mie convinzioni, e una volta che i miei superiori hanno capito che non mi sarei fatto intimidire, hanno deciso di iniziare contro di me una “guerra dell’informazione”.
Avevo molti amici contrari alla guerra su My Space e altri canali internet che divulgavano informazioni riguardo la mia prigionia e le facevano circolare in tutto il mondo, letteralmente in un baleno. Prima che lo sapessi, fui convocato nell’ufficio del sergente capo e iniziarono a lamentarsi e ad urlare perché i loro nomi apparivano “dappertutto su internet”. Non hanno cercato di negare le cose che venivano dette di loro, o il fatto che io fossi stato maltrattato e che loro rifiutassero di riconoscere la mia richiesta di fare obiezione di coscienza, bensì erano infuriati per via dell’esposizione mediatica cui erano sottoposti.

attivisti usa contro la guerraIl soldato al contrattacco. Il giorno dopo mi dissero che ero stato “segnalato” come problema dell’Opsec (Operational Security, “sicurezza operativa” n.d.r.). Non mi è stata data nessuna spiegazione. Erano ostili e ossessionati dalla volontà di fare di me “un esempio”, cercando in ogni modo di screditarmi e rovinare la mia reputazione. Hanno trascorso giorni interi a produrre pagine di “richiami” (“counseling statements” nel testo, ovvero richiami ufficiali che seguono violazioni del regolamento o della condotta militare n.d.r.)per screditare in maniera retroattiva il mio curriculum militare. Il fatto che non ci fossero precedenti documenti che attestassero queste presunte violazioni fece sì che le accuse cadessero, e loro lo sapevano.
Avevano bisogno di “qualcosa di più”. Chiesero ripetutamente quali fossero i miei nomi utente e le mie password su internet e MySpace, posta elettronica privata, tutto. Tutto ciò sotto la minaccia di “maggiori e più gravi accuse a mio carico” nel caso mi fossi rifiutato.
Hanno voluto leggere le mie e-mail, tutti i miei blog, qualunque cosa, nel tentativo di trovare qualcosa. Niente che potessero usare per far sì che sembrasse che fossi colpevole di aver divulgato informazioni riservate. Volevano accusarmi e rovinare al massimo la mia credibilità, e avevano un disperato bisogno di giustificare in qualche maniera la mia detenzione illegale in isolamento.
Due settimane più tardi, quando finalmente hanno capito che non sarebbero stati in grado di accusarmi per “divulgazione di informazioni riservate”, mi hanno accusato di una serie di “rifiuti di eseguire gli ordini”. Questi ultimi non comprendevano soltanto il mio rifiuto di partecipare alle missioni di combattimento, ma anche cose ridicole tipo “non si mette sull’attenti” e “si è presentato in ritardo alle mansioni assegnate”. Potete immaginare. Il mio comandante ha infine offerto di “lasciarmi libero” se mi fossi imediatamente dichiarato colpevole di tutto e avessi accettato una sommaria corte marziale. Le opzioni che mi si presentavano erano chiare. Avrei potuto accettare, passare trenta giorni in prigione, e riavere indietro la mia vita. Oppure avrei potuto farmi sbattere di nuovo in isolamento per altri due mesi, dando loro la possibilità di fare di me un esempio per tutto il battaglione, dicendo “questo è quello che succede a chi si oppone alla guerra”.
Lascerò che credano di aver vinto, per ora.
 
Libertà. La verità verrà allo scoperto, e non c’è nulla che possano fare per nasconderla. L’occupazione è un disastro. Sono convinto che ogni giorno in più di questo stato di cose renda sia l’America che l’Iraq meno sicuri. Oppormi alla guerra e mantenere la schiena dritta di fronte ai miei superiori è stata senza alcun dubbio una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Ho fatto la scelta giusta, e in regalo ho avuto indietro la mia libertà. Forse tra dieci anni quelli di noi che hanno resistito dall’interno alla forza militare oggi, saranno visti come i primi pochi coraggiosi ad aver detto la verità, facendo seguire i fatti alle parole. Anche adesso ci sono molti intorno a me che mi ricordano che non sono il solo a pensarla in questo modo, vale a dire la maggioranza degli americani, che si sono resi conto che i pezzi che compongono il mosaico di questo conflitto semplicemente non combaciano.
Cercate la verità. Prendete una decisione.
 
dall'agente speciale dell'esercito della Guardia Nazionale degli Stati Uniti d'America

Elonai 'Eli' Israel

9 Agosto 2007
Parole chiave: iraq, usa, guerra in iraq, iraqi veterans against the war,
Categoria: Guerra, Pace
Luogo: Iraq
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