Professore, perché è stata colpita l’Australia?
L’Australia è un nemico dell’Indonesia per vari motivi. Non tanto perché è un
Paese occidentale e anglosassone, ma per ragioni strategiche. E’ un vicino scomodo
e troppo attento a ciò che accade nell’Arcipelago indonesiano.
In che senso?
L’Indonesia conserva da sempre - come la Gran Bretagna - buone relazioni con
gli Stati Uniti. Ma questi rapporti col mondo americano non implicano solo una
particolare ostilità da parte di componenti islamiste radicali. Anzi, in Indonesia
l’ostilità verso l’Australia è percepibile anche in ambienti secolari e laici.
Non a caso un sito vicino ai servizi segreti francesi, commentando l’attentato
di Bali, avanzò il dubbio che la Jemaah Islamiah (JI) non esistesse. Questa tesi non è controllabile e potrebbe essere solo una
provocazione, visti i difficili rapporti tra Francia e Stati Uniti (fautori della
guerra mondiale al terrorismo islamico, ndr.). Il sito però metteva in luce un
aspetto interessante, ovvero che i militari, coinvolti nelle vicende di Timor
Est e da sempre legati ad ambienti non islamici del nazionalismo secolare, erano
particolarmente sensibili alle ingerenze australiane. Sidney , infatti, dopo il
’99 ebbe un ruolo di primo piano nel separare Timor Est dall’Indonesia.
Quanto conta la componente secolare in Indonesia?
In Indonesia l’87 per cento della popolazione è musulmana, ma solo un terzo è
praticante, gli altri sono musulmani solo di nome . I militari fanno parte di questi due terzi.
Dunque ci sono diverse possibili letture degli attentati che hanno colpito l’Indonesia
negli ultimi
due anni?
Nel 2002 si è detto che l’attentato di Bali, dove quasi la metà delle vittime
furono australiane, era più anti-australiano che anti-occidentale. Questo possibile
scenario non ne esclude però un altro. Potrebbe esserci anche una componente islamica
che non distingue tra Stati Uniti e Australia e che compie azioni terroristiche
anti-occidentali.
L’attacco contro l’ambasciata non è riconducibile al ruolo dell’Australia in
Iraq?
Ciò che accade in Indonesia è solo marginalmente influenzato da quel che avviene
in Iraq. E’ più significativa la condizione del leader religioso islamico Abu
Bakar Ba'asyir, ritenuto capo spirituale della Jemaah Islamiah. Ba'asyir si trova
attualmente in una prigione indonesiana.
La Jemaah Islamiah quindi resta un mistero?
Il primo riferimento alla Jemaah Islamiah compare negli anni ’80, al tempo della
dittatura militare di Suharto. In tempo di rivoluzione islamica iraniana due Paesi
in particolare temevano quello che stava accadendo in Iran: l’Algeria e l’Indonesia.
Nella prima nacque un movimento islamista di massa che i generali algerini riuscirono
a reprimere; nella seconda si formarono solo gruppi integralisti islamici marginali.
La Jemaah Islamiah, di cui fa parte anche Ba’asyir, venne costituita allora come
strumento dei servizi di spionaggio interni. Furono proprio i militari a volerla
con funzioni di “provocazione”. Grazie alla JI, facevano cioè convergere i militanti
radicali islamici potenzialmente pericolosi per riconoscerli ed escluderli. Come
appunto Ba’asyir che fu espulso e incarcerato.
La sigla della JI è ricomparsa dopo anni, ma resta una definizione vaga, mai
usata in modo esplicito.
La tesi della “provocazio ne” vale anche oggi?
Si, come dicevo, è uno scenario possibile. Ci possono essere elementi nelle forze
armate indonesiane che cercano di consolidare il proprio ruolo dimostrando che
la società indonesiana ha ancora bisogno di un forte apparato militare. Vogliono
produrre cioè instabilità per chiamare poi l’Esercito a riportare l’ordine.
Questa tesi però aveva più senso nel 2002, quando rappresentava una minaccia
diretta alla presidente Megawati Sukarnoputri che di fatto rifiutava il ruolo
politico dell’Esercito. Dopo le presidenziali di luglio ci troviamo in una situazione
diversa: il 20 settembre Megawati andrà al ballottaggio con un outsider, Yudhoyono. Un ex generale di secondo rango, che non è espressione dei vertici
dell’Esercito. Anzi Yudhoyono, in quanto filoamericano (ha studiato negli Usa)
ed ex ministro della Sicurezza legato alle politiche antiterrorismo, potrebbe
apparire come un avversario alle frange radicali islamiche. In questo caso l’ipotesi
del terrorismo islamico sarebbe legittima: l’attentato all’ambasciata potrebbe
essere un avvertimento per colui che concorre a diventare il nuovo presidente
dell’Indonesia.
Francesca Lancini