"Non vi sbagliate: noi non vogliamo tenere le nostre truppe in Afghanistan, noi non vogliamo mantenere basi militari. E' doloroso per l'America perdere nostri giovani uomini e donne. E' costoso e politicamente difficile continuare questo conflitto. Saremmo ben lieti di riportare a casa ogni singolo nostro soldato se fossimo certi che in Afghanistan e in Pakistan non ci fossero più violenti estremisti determinati a uccidere quanti più americani possibile. Ma per ora non è così".
"Non solo forza militare". Con queste parole, pronunciate ieri al Cairo, il presidente Usa Barack Obama ha voluto spiegare al mondo musulmano che gli Stati Uniti sono, loro malgrado, costretti a continuare questo conflitto fino a quando nel cosiddetto ‘AfPak' non ci saranno più ‘violenti estremisti'.
Obama ha precisato nel suo discorso che "la forza militare da sola non risolverà i problemi in Afghanistan e Pakistan", spiegano che gli Stati Uniti hanno stanziato miliardi di dollari "per costruire scuole, ospedali, strade e attività economiche" in Pakistan e per aiutare l'Afghanistan a "sviluppare la sua economia e a fornire quei servizi da cui la popolazione dipende".
Ma sul terreno non sembra così. Al di là delle belle parole, però, afgani e pachistani vivono sulla loro pelle una realtà ben diversa: un'escalation militare che in Pakistan, appaltata all'esercito locale, sta producendo migliaia di morti, milioni di profughi e un forte sentimento anti-americano, e che in Afghanistan, con l'arrivo di migliaia di nuovi soldati Usa e con l'intensificazione dei bombardamenti aerei e delle offensive terrestri, produce ogni giorno nuove stragi di innocenti (si pensi ai 140 civili massacrati un mese fa a Farah) e di conseguenza sempre più persone che, per vendetta e per disperazione, sono ‘determinati a uccidere quanti più americani possibile'.
Obama non parla di Bagram. L'incoerenza tra parole e azioni della nuova amministrazione Usa in materia di ‘guerra globale al terrorismo' - che Obama ha ribattezzato ‘operazioni di emergenza oltremare' - emerge anche dalla vicenda Guantanamo-Bagram. La Casa Bianca non perde occasione per ribadire la sua intenzione di chiudere la prigione della vergogna sull'isola di Cuba, ma si rifiuta anche solo di parlare della prigione militare Usa di Bagram, in Afghanistan, che invece continuerà a funzionare al di fuori di ogni rispetto dei diritti umani. Chi ha visto al cinema il documentario Taxi to the Dark Side - che racconta la storia di uno dei tanti afgani innocenti torturati a morte dai soldati Usa a Bagram - sa bene che quella è la prigione dove sono state inventate i sistemi d'interrogatorio e detenzione successivamente esportati a Guantanamo e Abu Ghraib.
Times, Bagram peggio di Guantanamo. Il 21 maggio, durante una conferenza stampa presidenziale sulla nuova politica Usa nei confronti dei detenuti sospettati di essere terroristi, Obama si è rifiutato di rispondere alla domanda di un giornalista della Msnbc sulla prigione di Bagram.
Pochi giorni dopo, il Times di Londra ha pubblicato un editoriale molto critico su Obama: "Quella della prigione Usa di Bagram è una storia palesemente ignorata su cui Obama non vuole che si concentri l'attenzione del mondo. E' Bagram, non Guantanamo, che dovrebbe tormentare le coscienze dell'opinione pubblica mondiale. A Bagram sono detenuti oltre seicento prigionieri, molti da anni, e tutti senza accuse, a tempo indeterminato e in condizioni molto peggiori di quelle di Guantanamo".
Ijn, Bagram imbarazzante per Obama. "L'amministrazione Obama non vuole parlare di Bagram perché è un capitolo imbarazzante", ha dichiarato Tina Foster, direttrice della Rete Internazionale per la Giustizia (Ijn). "Obama ha mantenuto la politica Bush che consente al presidente di mantenere in giro per il mondo delle enclave completamente fuori-legge al di fuori del territorio Usa, ma preferisce far credere all'opinione pubblica che il problema è stato risolto con le dichiarazioni sulla chiusura di Guantanamo".
Enrico Piovesana