Ogni giorno settemila rifugiati somali varcano il confine keniota e arrivano nel campo profughi di Dadaab. Fuggono dalla guerra che al-Shabaab ha dichiarato al Governo di transizione. In tende e baracche vivono 300.000 persone. Un piccolo paese che non compare sulle carte. Un pezzo di Somalia in territorio keniota che spaventa il governo di Nairobi. Si teme che gli Shabaab possano entrare nel campo per poi infiltrarsi in Kenya e da qui in tutto il centro Africa.
"Una parte della popolazione somala, in maggioranza proveniente da Mogadiscio, si trova le porte chiuse in faccia. Nessun asilo per loro", ha dichiarato Antonio Guterres, alto commissario Onu per i rifugiati. Secondo Guterres Nairobi starebbe scoraggiando l'ingresso di profughi in territorio keniota per paura di infiltrazioni terroristiche.
"Non ho avuto notizie di respingimenti di rifugiati", ha spiegato Francesco Calcagno, contattato da Peacereporter, che a Dadaab lavora per la ong Avsi nel settore dell'istruzione. "I somali godono del prima facie, 'a prima vista'. Gli viene cioè riconosciuto lo status di rifugiati non appenano si trovano fuori dai confini nazionali". Dadaab, costruito nel 1992 per accogliere i somali che fuggivano dalla guerra, poteva accogliere 90 mila persone, oggi sono 300 mila suddivisi in tre blocchi: Ifo, Hagdera e Daghaley. "La sicurezza è un grosso problema", ammette Calcagno. "Sia all'interno del campo che all'esterno. I militari kenioti hanno molti problemi a tenere sotto controllo la situazione".
Per tentare di contenere la massa di rifugiati il governo di Nairobi ha messo in campo un imponente cordone di sicurezza. I militari sorvegliano le capanne notte e giorno, mentre la strada di 100 chilometri che collega Dadaab con Garissa è costellata di posti di blocco. I rifugiati tentano di raggiungere Mombasa con ogni mezzo: per 200 dollari le mafie locali li nascondono nei camion e nelle macchine fino alle città dell'entroterra.
"Nelle settimane passate sono arrivate notizie preoccupanti. L'ambasciata americana ci ha avvertito di non andare nei campi", racconta Calcagno, "perché uomini di al-Shabaab avevano intenzione di rapire personale espatriato". Per l'esercito keniota è impossibile controllare i campi profughi. Qui i miliziani islamici si possono nascondere e pianificare operazioni terroristiche. Come quella dell'11 luglio, a Kampala. Quel giorno al-Shabaab seminò il terrore uccidendo 76 persone in tre attentati simultanei. Dal quel momento il livello di guardia si è alzato sensibilmente. "I terroristi volevano fare esplodere delle bombe a Mombasa e Nairobi subito dopo i due attentati in Uganda", ha riferito un ufficiale dei servizi di sicurezza kenioti intervistato dalla stampa locale.
Dadaab è una bomba pronta ad esplodere. I rifugiati vorrebbero avere libertà di movimento, ma i militari kenioti tentano di tenerli chiusi all'interno del campo. "Alcuni di noi sono qui da venti anni", racconta Moulid Dugsuye Hirsi, uno dei leader della comunità somala. "Ci dovrebbero dare maggiore libertà e lavoro per i nostri figli". All'esterno del campo la popolazione keniota è esasperata. I villaggi dell'area sono spesso oggetto di ruberie e violenze portate dai ribelli che infestano il confine.
Francis Baya, assistente del ministro per l'Immigrazione, respinge ogni accusa. Secondo il funzionario nessuno è mai stato rimandato indietro e i campi accolgono tutti i rifugiati somali che giungono a Dadaab. "I nostri piani prevedono di spostare i punti di registrazione sul confine, in modo da intercettare i profughi il prima possibile". Oggi i civili in fuga dalla guerra devono percorrere cento chilometri prima di raggiungere i punti di raccolta.
Tommaso Cinquemani