Chongqing è la città più grande del mondo: oltre trentuno milioni di abitanti compressi nei grattacieli che si impilano su ripidi argini alla confluenza del Jialing e dello Yangtze. Qualcosa di assolutamente ingovernabile dal punto di vista urbanistico.
Se non vuoi essere divorato dalla tigre, allora cavalcala. Così devono aver pensato le autorità della municipalità-megalopoli nel sud-ovest della Cina. Tradotto: se le colate di cemento non si possono evitare, cerchiamo almeno di guadagnarci.
E così, proprio da Chongqing partirà, a quanto dicono i media cinesi, la sperimentazione della tanto discussa tassa sul lusso, l'escamotage fiscale che dovrebbe rendere la crescita cinese più egualitaria, porre un freno alla speculazione immobiliare e, già che ci siamo, rimpinguare le casse delle amministrazioni locali, desolatamente vuote nonostante l'enorme liquidità a disposizione di Pechino.
Il processo sembrerebbe già molto avanzato: il sindaco della municipalità, Huang Qifan, ha raccomandato all'assemblea locale di approvare la tassa e il ministro delle Finanze si è detto d'accordo "in linea di principio". Secondo l'agenzia Nuova Cina, potrebbe essere operativa già da fine marzo e aggirarsi sull'uno per cento del valore dell'immobile.Che la misura sia realmente nell'aria è testimoniato anche dal calo delle borse cinesi all'apertura di lunedì. L'indice Hang Seng di Hong Kong ha perso quasi un punto percentuale, il Composite Index di Shanghai è sceso dell'1.65 per cento. E a perdere di più sono proprio i titoli immobiliari, come Neo-China Land Group (-3.24 per cento) China Resources Land (-3), Hang Lung Properties (-2.3), Glorious Property Holdings (-1.74), Agile Property Holdings (-1.65), Sino Land Co (-0,88) e Henderson Land Development (-0,62).
Finora esisteva una tassa solo sugli immobili commerciali. Adesso si punta agli appartamenti di fascia alta, quelli che i nuovi ricchi cinesi acquistano non solo per viverci, ma anche per investire: le seconde, terze e quarte case.
Di tassare la proprietà si parla da tempo. Si tratterebbe di mettere un balzello sui beni "di lusso" per garantire più "armonia sociale". Così, l'immaginario dei cinesi corre immediatamente alla casa, che si scrive con il carattere del maiale - simbolo di ricchezza - sotto un tetto.
L'estate scorsa la municipalità di Shanghai, per prima, avanzò l'ipotesi di introdurla. Oggi è l'ipertrofica Chongqing ad adottarla.
Il punto è che la crescita esponenziale dei prezzi immobiliari nei centri città determina l'espulsione dei residenti e la distruzione del tessuto sociale, con risentimento diffuso e fenomeni di jacquerie a fare da corollario. Il Partito comunista, che deve gestire la complessa e accelerata transizione economico-sociale del Paese e che punta sempre più sul consenso, non può permetterselo.
Tuttavia, quando varò il pacchetto di stimoli anticrisi del 2008, il governo contribuì notevolmente alla corsa verso il mattone riversando denaro sonante su un settore delle costruzioni che creava posti di lavoro e incontrava la domanda del nuovo ceto medio.Insomma, le autorità hanno da sempre nel mirino il settore immobiliare ma non sanno bene come controllarlo: cavalcare la tigre o abbatterla? Alla fine dell'anno scorso, sempre a Shanghai, è stata per esempio sospesa d'ufficio la concessione di mutui immobiliari. Segno evidente che i tempi sono cambiati e che la crisi, almeno in Cina, è finita. Il problema torna quindi a essere quello del pre-2008: raffreddare un'economia che galoppa troppo.
La tassa sembra la classica fava che prende parecchi piccioni, perché sconsiglia ai cinesi benestanti di investire su appartamenti che non abiteranno e restituisce ossigeno ai conti delle municipalità. E', soprattutto, una tassa giusta: porrà forse un freno agli espropri e alle espulsioni dei non abbienti verso periferie anonime che hanno tutto il peggio della città e tutto il peggio della campagna.
Gabriele Battaglia