In concomitanza (fortuita) con i nuovi allarmi di emissioni tossiche dall'impianto di Fukushima, il Belgio si fa investire dall'effetto domino e pensa alla rinuncia al nucleare: dopo aver colpito Germania, Svizzera e Italia, la preoccupazione per il pericolo derivante dell'energia atomica ha infatti contagiato anche Bruxelles, che ha annunciato la progressiva chiusura delle centrali a partire dal 2015. I sei partiti che stanno negoziando la formazione del nuovo governo (liberali, socialdemocratici e conservatori, da entrambe le aree linguistiche) sono giunti a un pre-accordo per congelare il programma di mantenimento dei suoi sette reattori attivi in due centrali nucleari recenti (Fiandre, con sette reattori, Vallonia con tre) da qui al 2025. I due più vecchi, due fiamminghi e uno vallone, chiuderanno invece nel 2015. Tutte le centrali sono costruite e gestite dai francesi di Gdf-Electrabel.
Si ritorna così al 2003, ovvero al piano di sospensione delle attività nucleari che fu poi modificato nel 2009, dopo la stipula di un accordo che avrebbe dovuto prolungare di quarant'anni la vita dei reattori più vecchi. Il nuovo programma è tuttavia vincolato al calo dei prezzi energetici e alla messa in attività di fonti di energia alternative, senza l'esistenza delle quali potrebbe saltare tutto. Un accordo che nasconde tuttavia alcune ambiguità, frutto delle delicate dinamiche negoziali in atto nella politica belga. I partiti che non hanno partecipato alla discussione, e che non faranno parte del governo, come la Nuova alleanza fiamminga, considerano l'accordo un modo per rinviare di sei mesi la decisione definitiva. Per i verdi fiamminghi, le parti politiche hanno 'deciso di non decidere'.
Ma la ragione di un atteggiamento tanto interlocutorio è soprattutto il braccio di ferro con i cugini francesi: la Gdf ha investito 500 milioni di euro negli ultimi 25 anni per mantenere attivi i reattori che in un futuro vicino Elio Di Rupo (il politico italiano incaricato di formare il nuovo governo) vuole chiudere. Gdf aveva sottoscritto una serie di contropartite con il precedente governo che prevedeva il pagamento a Bruxelles di 250 milioni all'anno. Di Rupo ha quadruplicato la richiesta economica a Gdf (o meglio, a Electrabel, il ramo belga di Gdf), e Gérard Mestrallet, capo di Gdf, ha minacciato come risposta la chiusura immediata dei tre reattori.
Il tira e molla tra Mestrallet e Di Rupo va avanti da anni, nel tentativo di trovare un compromesso definitivo. Mestrallet reagì due anni fa alla richiesta dei belgi di aumentare a 500 milioni di euro il pagamento di Gdf con una secca presa di posizione: "Non pagheremo un bel niente", disse nel 2009. Il commento arrivava a margine della presentazione del bilancio al Parlamento belga. Oggi, in una fase delicata per la formazione di un nuovo governo, critici e gli oppositori di Di Rupo vedono nella relazione con Gdf un freno enorme alla propria indipendenza. E considerano il Belgio un vero e proprio ostaggio dei gruppi economici francesi.
Luca Galassi