Assomiglia a una matrioska la congiura che si sta compiendo in queste settimane in Zimbabwe. Tradimenti a catena che rendono le prospettive politiche del Paese sempre più incerte. Tutto ha origine dalla malattia di Robert Mugabe che avanza ed erode piano piano, insieme alla speranza di vita del presidente, la sempre più fragile stabilità di un regime che entro i prossimi 18 mesi si presenterà alle urne, con Mugabe che dopo oltre 30 anni di onorata dittatura sarà costretto a farsi da parte e spianare la strada a un delfino. Chi sia il prescelto, non si sa, ed è qui che la trama diventa particolarmente intricata. Fino a ieri c'erano due clan in lotta per succedergli. Da una parte, la vicepresidente Joyce Mujuru, moglie di un generale molto potente scomparso recentemente in circostanze non ancora chiarite; dall'altra il ministro della Difesa Emmerson Mnangagwa. Ambedue i contendenti possono contare sul sostegno di settori delle forze armate e più ingenerale dell'apparato repressivo ma soprattutto su una fortuna personale accumulata con il potere e la minaccia: quote in società statali e parastatali, imprese, proprietà immobiliari e terriere rastrellate grazie al lavoro delle squadracce del regime che hanno espropriato centinaia di proprietari terrieri bianchi e anche i possidenti neri sgraditi al governo. Sono soprattutto le miniere di diamanti la vera linfa vitale di un sistema economico altrimenti improduttivo e fiaccato dalle sanzioni internazionali imposte da Stati Uniti e Unione europea. Ma adesso i giochi si sono complicati.
Mugabe ha giocato le due fazioni l'una contro l'altra, guadagnando tempo ma senza riuscire ad usarlo per blindare la transizione. E nell'incertezza si è allungata l'ombra di un nuovo circolo di potere: ufficiali delle Forze armate, non direttamente parte dell'inner circle presidenziale, che finora non avevano esplicitato ambizioni particolari. La soluzione peggiore, scrivono gli analisti locali, perché questo gruppo potrebbe puntare sulla violenza, anzi, è certo che questi siano i loro piani: "Questo gruppo di ufficiali che sono contro il Global Political Agreement del 2008 e contro il governo di unità nazionale, così come anche contro la road map elettorale, sembra pensare che le due principali fazioni dello Zanu (il partito di Mugabe, ndr) abbiano fallito nel gestire la successione a Mugabe", si legge in un editoriale dello Zimbabwe Independent. Chi segue la vicenda non si sbilancia ma prevede che i nuovi congiurati avranno il sostegno di Mugabe, perché nel frattempo è accaduto l'impensabile. Joyce Mujuru e Mnangagwa avrebbero unito le forze, esasperati dall'attendismo di Mugabe, nella consapevolezza di esser diventati pedine di un gioco più grande. Ed è così che si arriva alla morte del generale Solomon Mujuru, il quale, secondo le ultime indiscrezioni, avrebbe pagato con la vita un patto stipulato con il leader dell'opposizione Morgan Tsvangirai, probabile vincitore delle prossime elezioni, a meno di brogli e soprattutto di un intervento dell'esercito, come accadde nel 2007. Tsvangirai avrebbe chiesto la protezione del generale in cambio della promessa di confermare la moglie alla vicepresidenza in caso di vittoria.
Neutralizzata questa minaccia, Mugabe e i suoi si sono dedicati a quella successiva: il congresso del partito che si terrà a Bulawayo tra il 6 e il 10 dicembre. La vicepresidente e il ministro della Difesa avevano intenzioni di sferrare qui l'attacco a sorpresa contro il vecchio leone. Non potranno più perché il congresso è stato trasformato in conferenza, un consesso in cui non si deciderà nulla. Mugabe per parte sua è sempre più debole. L'ultimo consiglio dei ministri da lui convocato quello del 31 ottobre, è stato sciolto dopo soli venti minuti. A Bulawayo ci arriverà da Singapore, dove si è sottoposto all'ottava visita in un anno. Il cancro alla prostata avanza e adesso ha compromesso anche il funzionamento dei reni. Ma a mollare non ci pensa proprio. I cables di Wikileaks in compenso gli hanno svelato le trame di importanti esponenti del regime. Ed è per questo che la tentazione di scommettere su un terzo cavallo, quello dei sabotatori, è forte. Questi hanno tutto da guadagnare da una deragliamento del processo elettorale e dalla definitiva esplosione di una guerra civile. Segni inquietanti in tal senso non mancano. Nemmeno una decina di giorni fa, un carico ingente di armi cinesi è arrivato in Zimbabwe, aggirando l'embargo, attraverso un non meglio identificato mediatore africano: ventimila AK-47, 21 mila paia di manette, divise nuove, tra i 12 e 15 autocarri. La Cina, da sempre il principale fornitore dell'esercito dello Zimbabwe, adesso è anche partner nello sfruttamento dell'enorme giacimento diamantifero di Marange, i cui diamanti sono stati recentemente dichiarati nuovamente esportabili, con la revoca del ban imposto dal Kimberley Process. Le pietre preziose di Marange valgono qualcosa come tre miliardi di dollari, una fortuna sulle quali metteranno le mani i securocrati di Mugabe, attraverso le due società che già avevano concessioni nell'area e una terza, la new entry Anjin Zimbabwe, joint-venture tra Pechino e Harare. Secondo i report che girano nel Paese, è proprio da questo giacimento che proviene la ricchezza alla quale attingerà il terzo gruppo. Pechino in questo caso sarebbe il principale sponsor della difesa di uno status quo che salvaguarda gli interessi di pochissimi, gli ultimi pretoriani di Mugabe, e anche i suoi.
Alberto Tundo