13/11/2007versione stampabilestampainvia paginainvia



Filippine, chi era veramente il politico assassinato nell’attentato di martedì
L’onorevole Wahab Akbar, il deputato del partito di governo rimasto ucciso nell’attentato avvenuto martedì sera fuori dal parlamento filippino, non è un personaggio politico qualunque.
Fedele sostenitore della presidente Gloria Macapagal Arroyo, eletto nelle liste del partito conservatore al governo – il Lakas-Cmd – come rappresentate della provincia di Basilan, il musulmano Akbar era ritenuto da molti il ‘grande vecchio’ che stava dietro al movimento terrorista Abu Sayyaf. Un uomo potente che aveva molti amici, ma anche molti nemici.
 
Wahab AkbarIl signore di Basilan, la terra di Abu Sayyaf. L’isola meridionale musulmana di Basilan, di cui Akbar è stato governatore per tre mandati – carica oggi ricoperta dalla sua prima moglie, la seconda è sindaco del capoluogo Isabela –  è il luogo in cui è nato, all’inizio degli anni ’90, il movimento terrorista islamico di Abu Sayyaf.
Secondo la storiografia ufficiale, questo gruppo armato è stato creato, e inizialmente guidato, da Abdurajik Janjalani: un jihadista originario di Basilan ma formatosi in Afghanistan durante la guerriglia antisovietica degli anni ’80. Al termine di quel conflitto, lo stesso Osama bin Laden gli avrebbe affidato il compito di portare la guerra santa in patria fondando un nuovo gruppo locale, Abu Sayyaf appunto. Un gruppo piccolo ma agguerrito, specializzatosi in attentati dinamitardi e rapimenti: dal sequestro dei turisti stranieri nel resort malese di Sipadan nel 2000 fino al recente rapimento di padre Giancarlo Bossi.
Per combattere Abu Sayyaf, il governo di Manila ha inviato migliaia di soldati a Basilan, Jolo e Mindanao e ha chiesto il sostegno militare, e finanziario, degli Stati Uniti: dopo l’11 settembre gli Usa hanno dislocato in zona centinaia di forze speciali nell’ambito della guerra globale al terrorismo.
 
Miliziani di Abu SayyafLa strategia della tensione del governo di Manila. Secondo numerose testimonianze raccolte da PeaceReporter nel corso di un’inchiesta giornalistica condotta nelle Filippine nelle scorse settimane (in pubblicazione sul prossimo numero della nostra rivista) è emersa un’altra versione.
Da numerose interviste realizzate negli ambienti giornalistici, intellettuali e militari filippini – tra cui il colonnello dei Marines filippini che la scorsa estate ha guidato le ricerche di padre Bossi sull’isola di Basilan – è unanimemente venuto fuori che Abu Sayyaf è una creatura del governo filippino messa in piedi allo scopo di sabotare il processo di pace con gli indipendentisti islamici del Fronte Moro Islamico di Liberazione (Milf) e di giustificare la guerra al terrorismo nel sud musulmano del paese. Una messa in scena che ai generali e ai politici di Manila serve per legittimare la progressiva militarizzazione del Paese, creare una ‘solidarietà nazionale’ attorno all’esercito e alle forze armate e giustificare il crescente sostegno militare ed economico di Washington. Qualcosa di analogo, insomma, alla nostrana “strategia della tensione”.
 
L'attentato di oggiWahab Akbar, il vero capo di Abu Sayyaf. L’uomo che, da dietro le quinte, avrebbe dato vita a tutto questo e che fino a oggi avrebbe manovrato Abu Sayyaf sarebbe proprio lui: Wahab Akbar.
Nel 1992, l’allora presidente filippino Fidel Ramos, ex cadetto dell’accademia militare Usa di West Point, incaricò l’intelligence militare di creare un gruppo terrorista per sabotare la lotta del popolo Moro. Assieme all’agente segreto Edwin Angeles, Akbar arruolò il carismatico Janjalani. Angeles procurò le armi, provenienti dai depositi dell’esercito, e Akbar garantì la copertura politica alle azioni del gruppo. Azioni fatte ricadere sul Milf per screditarlo. Oppure azioni condotte a scopi politici contingenti, come ad esempio distrarre l’opinione pubblica durante scandali che coinvolgono l’esecutivo o convincerla della bontà di certe politiche governative.
In questa logica, come hanno spiegato le fonti interpellate da PeaceReporter, rientra anche il rapimento Bossi e la successiva decapitazione dei Marines filippini impegnati nelle ricerche: azioni condotte dagli uomini di Abu Sayyaf, ovvero dai mercenari al soldo di Wahab Akbar, che hanno agito con il concorso di poliziotti e funzionari locali corrotti. Risultato: il governo è riuscito a far approvare una legge anti-terrorismo che amplia i poteri dell’esercito e che per questo era stata contestata dall’opposizione e dalla Chiesa filippina. In cambio, Akbar si è tenuto gran parte del riscatto pagato per la liberazione del missionario italiano: quasi un milione di euro.
 

Enrico Piovesana

Articoli correlati: Conflitto in quest'area: La scheda paese: Gli argomenti più discussi: Le parole chiave più ricorrenti:
creditschi siamoscrivicicollaborasostienicipubblicità