09/01/2007versione stampabilestampainvia paginainvia



Ricomincia il processo per il massacro dei curdi, ma Saddam non potrà rispondere
E’ ripreso ieri a Baghdad, in mattinata, il processo alla leadership del deposto regime iracheno per la cosiddetta ‘campagna di Anfal’, la brutale aggressione alla comunità curdo-irachena pianificata da Saddam Hussein e dai suoi collaboratori più stretti alla fine degli anni Ottanta, per punire la comunità curda del presunto appoggio dato all’Iran nel conflitto tra i due paesi e per ‘arabizzare’la regione.
 
halabja 1988: le truppe di saddam uccidono 7mila curdiL’assenza più importante. Il bilancio delle operazioni è noto: circa 180mila curdi vennero massacrati in una serie di barbare aggressioni nelle quali non venne risparmiato nessun tipo di arma, compresi gas e sostanze chimiche. L’episodio più cruento dell’aggressione è avvenuto nel villaggio curdo di Halabja, dove il 16 marzo 1988 morirono almeno 7mila persone. Una serie di crimini terribili, per i quali però sarà impossibile processare il principale responsabile: Saddam Hussein. Il rais è stato infatti giustiziato il 30 dicembre scorso, e la sua sedia all’interno dell’aula dove l’Alta Corte irachena processa gli imputati resterà vuota. Come resteranno senza risposta le tante domande dei curdi stessi, che avrebbero voluto fosse portato a termine il processo prima di eseguire la sentenza capitale per Saddam. Le responsabilità di quest’ultimo non sono in discussione, ma il vecchio dittatore iracheno avrebbe potuto fare chiarezza su chi gli aveva venduto le armi utilizzate per sterminare migliaia di persone e sulle responsabilità politiche dei governi dell’epoca, che di Saddam erano stati alleati. Restano le deposizioni degli altri imputati, tra i quali Ali Hassan al Majid, detto 'Ali' il chimico', all'epoca dei fatti responsabile della sicurezza per il nord dell'Iraq, e degli altri cinque imputati accusati di crimini di guerra e crimini contro l'umanità, ma non di genocidio come Saddam e al-Majid. Tutti rischiano la pena capitale, ma nessuno porterà con sé il bagaglio di segreti che il cappio al collo di Saddam ha soffocato per sempre.
 
nancy pelosi, polemica con la strategia di bush in iraqWashington cerca una soluzione. Mentre le polemiche per l’impiccaggione di Saddam e per i processi ancora in corso non sono ancora sopite, l’amministrazione Bush ha annunciato ieri che mercoledì prossimo il presidente degli Stati Uniti George W. Bush renderà nota la nuova strategia Usa in Iraq. Nancy Pelosi, leader democratico al Congresso, commentando le indiscrezioni sui piani di Bush che anticipano un aumento del contingente militare Usa in Iraq di circa 20mila uomini, ha gelato Bush: “E’ finita l’epoca degli aumenti di truppe statunitensi in Iraq. Significherebbe solo aumentare il numero delle vite americane a repentaglio. Non gli daremo un assegno in bianco”.
E le polemiche non finiscono qui, visto che, secondo alcune indiscrezioni di stampa, è in arrivo al Parlamento iracheno la discussione sulla controversa legge che permetterà, per la prima volta dal 1972, alle aziende petrolifere straniere di tornare a lavorare in Iraq. E c’è chi giura che la legge, in pratica, consegnerà la gestione del grosso delle riserve petrolifere irachene nelle mani degli Stati Uniti.
 
nuri al-maliki, primo ministro iracheno in difficoltàIl premier disarmato. Intanto la situazione in Iraq è sempre più drammatica. I militari Usa che hanno perso la vita sono più di 3mila e il quotidiano Usa Washington Post calcola in 17mila le vittime delle violenze intersettarie dell’ultimo semestre. Il premier al-Maliki sembra sempre meno l’uomo giusto per pacificare l’Iraq. La stessa amministrazione Bush ha chiesto al governo di Baghdad uno sforzo per agevolare un maggior impegno Usa nel Paese. Nei giorni scorsi al-Maliki ha tentato di dare la sensazione di avere un piano, annunciando un giro di vite contro gli squadroni della morte, le milizie sunnite e sciite che stanno insanguinando l’Iraq. Il premier ha deciso che lascerà campo libero all’esercito e ai corpi speciali che, quasi al di fuori del controllo della politica, avranno via libera nel combattere le milizie. Ma parlamentari sia sunniti che sciiti hanno già fatto sapere di non condividere la linea del premier, sempre più solo. 

Christian Elia

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