Crisi nei negoziati con il Milf. Niente tregua con l'Npa
Brutte notizie per le speranze di pace nelle Filippine,
teatro di due trentennali conflitti armati.
I negoziati tra il governo e gli indipendentisti islamici del
Milf, ripresi poche settimane fa dopo la rottura del 2006, sono già in una
nuova fase di stallo. Mentre i guerriglieri comunisti dell’Npa hanno rigettato
la tregua offerta dal governo dicendo che si tratta di un bluff e promettendo
un’escalation
degli attacchi. Intanto nel profondo sud, truppe governative e forze speciali
Usa hanno ucciso un pezzo grosso di Abu Sayyaf.
Rischio di rottura definitiva.
L’ottimismo suscitato a fine ottobre dall’annuncio di
un
accordo tra governo e Fronte Islamico di Liberazione Moro (Milf) per la ripresa
dei negoziati di pace è già finito. Nel finesettimana i guerriglieri – che combattono
dal 1978 per l’indipendenza delle regioni musulmane meridionali di Mindanao e
Sulu – hanno abbandonato il tavolo negoziale accusando il governo di essersi
già rimangiato l’intesa raggiunta sull’estensione e sul livello di autonomia del
‘dominio ancestrale’. “Ci sono dei sabotatori nel governo che remano contro il
negoziato”, ha dichiarato il rappresentante del Milf, Mohagher Iqbal. “Così si
mette a dura prova la pazienza del popolo Moro, che potrebbe anche decidere di
risolvere il conflitto con mezzi diversi da quelli pacifici”.
Rudy Rodil, membro dei negoziatori governativi contattato da
PeaceReporter minimizza e parlano di un
“fraintendimento grave ma temporaneo, che verrà risolto nei prossimi giorni”,
ma ammette che “l’allergia del Milf per i limiti imposti dalla Costituzione
costituisce un serio problema per il buon esito dei negoziati”.
Colombe e falchi da
entrambe le parti. Un fallimento definitivo del processo di pace rischia di
creare fratture all’interno degli almeno 12 mila combattenti del Milf, tra un
vertice attendista e paziente e una base combattente sempre più esasperata dall’atteggiamento
ondivago e schizofrenico di un governo che alterna momenti di apertura a
momenti di irrigidimento, frutto questi ultimi delle pressioni delle gerarchie
militari da sempre contrarie a ogni negoziato con i ribelli islamici.
La pace nel sud musulmano significherebbe infatti la fine
dello stato di guerra permanente che da trent’anni garantisce un enorme potere
politico ed economico alle forze armate filippine. Uno stato di guerra che dal
2001 viene giustificato soprattutto con la “lotta al terrorismo” combattuta dai
marines filippini e dalle forze
speciali Usa nelle isole del sud. Non è certo un caso che, proprio mentre
governo e Milf si incontravano sabato in Malesia, l’esercito abbia annunciato
un’operazione
antiterrorismo a Tawi-Tawi conclusasi con l’uccisione del super-ricercato Abdul
Mobin Sakandal, esponente di spicco del gruppo terroristico di Abu Sayyaf.
I ribelli comunisti
rifiutano la tregua. Brutte notizie arrivano anche dall’altra guerra
filippina, quella che dal 1969 contrappone il governo ai ribelli comunisti del
Nuovo Esercito del Popolo (Npa) e che fino a oggi ha causato almeno 40 mila
morti. Il capo di stato maggiore dell’esercito Ermogenes Esperon aveva annunciato
nei giorni scorsi una tregua natalizia e offerto ai ribelli una successiva tregua
di tre anni per provare a intavolare un negoziato. Ka ‘Roger’ Rosal, portavoce
dei
guerriglieri dell’Npa, ha risposto dicendo che si tratta di un bluff. “L’ipocrita
regime fascista della Arroyo sta intensificando l’offensiva militare su tutti
i
fronti, continua a compiere crimini di guerra contro al popolazione civile,
discute di reintrodurre la legge anti-sovversione per meglio reprimere gli oppositori
e il giorno dopo propone tregue. E’ solo un trucco, a cui noi risponderemo intensificando
i nostri attacchi”.
Domenica, tre soldati sono stati uccisi in un agguato dei
guerriglieri sull’isola di Palawan.