Testimonianze dai villaggi montani della Cecenia, spopolati dai bombardamenti russi
A Grozny si attende con inquietudine la fine, domani sera, della
tregua unilaterale dichiarata a inizio febbraio dalla guerriglia
indipendentista cecena. Nel timore di attacchi da parte della
guerriglia, molti abitanti stanno lasciando la città, che invece si va
riempiendo di blindati e soldati russi, che hanno allestito checkpoint
a ogni angolo di strada.
Intanto, dalle montagne del sud della Cecenia, il vero fronte di questa
guerra infinita, giunge la testimonianza di un giornalista locale che,
protetto da pseudonimo, racconta la storia di uno dei tanti villaggi
che si stanno spopolando a causa dei bombardamenti, dei rastrellamenti,
in una parola del terrore che le truppe russe seminano da anni nelle
boscose appendici del Caucaso ceceno nel tentativo di fiaccare la
resistenza indipendentista che qui ha le sue roccaforti.
di Umalt Dudayev*
In fuga dalla paura. Percorrendo una stretta e innevata strada di
montagna si arriva a un gruppo di case deserte, con le porte e le
finestre sfondate e i tetti crollati. Tutto lascia supporre che questo
villaggio sia stato abbandonato molto tempo fa.
Siamo a Usum-Kotar, un piccolo villaggio montano nel distretto di
Nozhai-Yurt, nel sud-est della Cecenia. Uno dei tanti insediamenti i
cui abitanti sono stati costretti a fuggire in un processo forzato di
spopolamento che viene ignorato dai media internazionali.
“Questo villaggio ha preso il nome da quello del mio bisnonno, Usum,
che lo fondò all’inizio nel Novecento”, spiega Yahya Usumov, 52 anni,
che ha vissuto qui fino al 1999, quando è iniziata la seconda guerra
russo-cecena. “Io vivevo qui con la mia famiglia, con mio nonno, e con
tutti i miei cugini e le loro famiglie. Ma siamo dovuti scappare tutti,
perché non era più possibile rimanere a Usum-Kotar”.
La moglie di Usamov è morta d’infarto dopo l’ennesimo bombardamento
russo. “Mia moglie era due anni più giovane di me: prima della guerra
non aveva mai avuto problemi di cuore. La guerra se l’è portata via,
come ha fatto con tanti altri. Da queste parti, molte persone sono
morte d’infarto per la paura, lo stress e l’ansia prodotti dalla
guerra. Ma sembra che nessuno si interessi di questo.”
Usum-Kotar si trova ai margini della foresta, e per questo è stato
soggetto ai bombardamenti dell’artiglieria russa, che martella
costantemente le zone boscose in cui si trovano i nascondigli dei
guerriglieri di Maskhadov e Basayev.
“Da quando è iniziata la guerra nell’autunno del ’99, i russi hanno
costantemente bombardato con aerei e con artiglieria le gole e le
foreste di questo e degli altri distretti della Cecenia meridionale. E
continuano a farlo tuttora. Ogni villaggio può essere colpito in ogni
momento. I soldati russi possono fare irruzione in casa in ogni
momento, uccidere o rapire te o un tuo parente, che poi sparisce senza
lasciare traccia, e senza che nessuno venga punito. La gente di qui è
stata costretta a fuggire perché temeva per la propria vita e per
quella dei propri cari”.
Una vita impossibile. Questi villaggi ceceni non hanno gas né riserve
di carbone, quindi l’unico modo per scaldare le case è la legna, che va
raccolta nei boschi, dove nessuno vuole addentrarsi: sono disseminati
di mine e frequentati dai soldati russi che pattugliano le foreste a
caccia di guerriglieri.
La gente di qui viveva allevando bestiame e api da miele, e coltivano
mais e patate. D’estate gli uomini usavano andare in Russia o in
Kazakistan per trovare dei lavori stagionali. Ma da anni tutto questo
non è più possibile.
“L’esercito ha cacciato via tutti a forza di bombardamenti e
rastrellamenti”, dice Umar Baisayev dell’associazione per i diritti
umani Memorial. “In alcuni villaggi sono rimaste poche famiglie, ma la
maggior parte sono stati completamente abbandonati, soprattutto quelli
che si trovano nei distretti di confine con il Daghestan e la Georgia,
cioè Vedeno, Nohzai-Yurt, Shatoi e Itum-Kale. Chi se lo può permettere
si trasferisce nelle più tranquille pianure del nord della Cecenia, gli
altri vanno a vivere da parenti e amici.
Yahya Usumov ora vive in quella che era la casa di suoi lontani parenti
a Nohzai-Yurt, più a valle rispetto al villaggio di Usum-Kotar. “Quando
è iniziata la guerra – racconta – loro sono scappati dalla Cecenia e mi
hanno lasciato la casa per pochi soldi. Sono stato molto fortunato. I
miei amici del villaggio se la passano molto peggio: i prezzi delle
abitazioni sono saliti di molto, quindi in molti non possono
permettersi una casa, ma non possono nemmeno tornare al villaggio.
“Lo spopolamento di questi villaggi è stato particolarmente intenso nel
2001-2002, il periodo peggiore della guerra, continuando poi in maniera
meno pesante fino ai giorni nostri”, spiega Baisayev. “Questa gente ha
subito un trattamento disumano: i soldati venivano continuamente nei
villaggi, facendo irruzione nelle case, uccidendo e rapendo civili. Il
tutto nelle pause tra un bombardamento e l’altro. Non hanno lasciato
loro altra scelta se non la fuga”.
Un piano di spopolamento. Molti in Cecenia pensano che i russi
perseguano un piano predeterminato di spopolamento delle montagne del
sud al fine di minare la base di supporto sociale della guerriglia
indipendentista.
“Queste teorie – continua Baisayev – sono nate in seguito alla
pubblicazione su Internet di documenti militari russi che ordinavano la
‘liquidazione’ di tutti i villaggi montani a sud della linea
Bamut-Dargo, due villaggi che si trovano rispettivamente nell’estremità
ovest ed est della Cecenia meridionale. Veri o no che siano quei
documenti, sta di fatto che proprio i villaggi a sud di quella linea
sono stati spopolati a suon di bombe e violenze”.
L’attacco documentato più recente risale ai giorni tra il 14 e il 16
gennaio scorso, quando i russi hanno bombardato la foresta ai margini
del villaggio di Zumsoi, distruggendo con un razzo la casa di un tale
Mahmud Tamayev. Nel successivo rastrellamento del villaggio i russi
hanno rapito tre civili e hanno rubato denaro e oggetti di valore da
molte abitazioni. Non era certo la prima volta che a Zumsoi succedevano
simili cose. Il risultato è che di 56 case, oggi solo 15 rimangono
abitate.
Il luogotenente russo dell’Fsb, Vladimir Yerofeev, insiste che non c’è
nessun piano preordinato di spopolamento. “Questa storia è solo
l’ultima trovata della macchina propagandistica degli ichkeri (ribelli
ceceni, n.d.r.). Ogni tanto si inventano qualcosa di nuovo. Come quando
Dudayev mise in giro la voce che i russi avrebbero deportato tutti i
ceceni in Siberia: gli anziani che si ricordano delle deportazioni
staliniane del 1944 ovviamente sono sensibili a queste cose, e solo per
questo hanno appoggiato il governo indipendentista di Dudayev. Certo,
nessuno nega che la vita per i ceceni sia più dura in montagna che in
pianura, ma è sempre stato così. La guerra ha solo peggiorato le cose,
com’è normale che sia”.