Afghanistan: la presa di distanze del governo italiano dell'offensiva Usa a Herat

Gli uomini scavano fra le macerie per estrarre altri
cadaveri. Le loro donne stanno sedute nella polvere davanti a quelle che erano
le loro case, guardandoli lavorare e piangendo i loro bambini, rimasti sepolti
là sotto.
Questa è la scena che si è presentata agli occhi dei membri di una
squadra della missione Onu in Afghanistan (Unama) che martedì pomeriggio ha
compiuto un sopraluogo a Parmakan, uno dei villaggi della Valle di Zerkoh,
nella provincia occidentale di Herat (zona sotto comando militare italiano), bombardati
durante l’offensiva Usa dello scorso fine settimana. Offensiva nella quale sono
rimasti uccisi 136 talebani e decine di civili: almeno 49, tra cui 18 donne,
secondo Adrian Edwards, portavoce dell’Unama, “circa 60” per la Commissione
Indipendente per i Diritti Umani in Afghanistan (Aihrc), “più di cento” a detta
della gente del posto intervistata dall’agenzia di notizie delle Nazioni Unite
(Irin News).
“Centinaia di abitazioni sono state distrutte, migliaia di
sfollati necessitano di assistenza umanitaria immediata”, ha dichiarato alla stampa
Ghulam Nabi Hakak, direttore provinciale dell’Aihrc.
Secondo le Nazioni Unite, almeno 1.600 famiglie (circa 10
mila persone) hanno abbandonato i villaggi della Valle di Zerkoh cercando
rifugio a nord, verso il capoluogo distrettuale di Shindand.
Promemoria. Il
governo italiano ha subito condannato questa offensiva, chiarendo che i nostri
soldati non vi hanno preso parte, protestando per non essere nemmeno stati
avvertiti dai comandi Usa e denunciando la “contraddizione” tra la missione di
guerra Enduring Freedom e la missione Isaf di pacificazione e ricostruzione.
I fatti, però, contrastano con queste parole.
Quattro distaccamenti di forze speciali italiane combattono da
mesi a fianco delle special forces Usa impiegate nella guerra ai talebani
nell’ambito di Enduring Freedom, rispondendo agli ordini del comando Usa (che
ha sempre mantenuto l’esclusivo controllo diretto di tutti i contingenti
nazionali di forze speciali presenti in Afghanistan).
Il ‘Task Group’ di forze
speciali italiane è attualmente composto da quattro distaccamenti operativi
provenienti da quattro corpi d’élite: Ranger del 4° Reggimento Alpini
Paracadutisti Monte Cervino, incursori di Marina Comsubin, 185° Reggimento
Acquisizione Obiettivi (Rao) della Brigata Folgore e 9° Reggimento d’Assalto
Paracadutisti Col Moschin, sempre della Folgore.
Quando abbiamo chiesto allo
Stato Maggiore italiano quale fosse l’entità numerica, in termini di uomini, di
questi distaccamenti impegnati in combattimento la risposta è stata: “Non
abbiamo informazioni in merito e anche se le avessimo non potremmo renderle
pubbliche”. Indiscrezioni parlano comunque di un’ottantina di soldati in tutto,
non pochi, considerato che si parla di corpi scelti) che partecipano
attivamente alle offensive di Enduring Freedom contro la guerriglia talebana.
La prima è stata l’operazione ‘Wyconda Pincer’: la battaglia che lo scorso
settembre le forze speciali Usa, italiane, spagnole e afgane hanno combattuto
per riprendere il controllo del distretto di Bakwa, nella provincia di Farah.
Anche in quell’occasione il governo italiano negò la partecipazione delle
nostre truppe all’azione, esattamente come ha fatto con l’offensiva nel
distretto di Shindand.
Peccato che il maggiore Usa Chris Belcher, portavoce
della Combined Joint Task Force 82, abbia dichiarato alla stampa che l’offensiva
è stata condotta assieme a forze Isaf-Nato, pur essendosi svolta sotto comando
Usa,
non Nato.

Il secondo dato di fatto contrastante con le affermazioni
dei nostri politici è che la “contraddizione” tra Isaf e Enduring Freedom è
stata risolta da un anno con la fusione – prima di fatto, poi anche di diritto
– delle due missioni, divenute entrambe di guerra e passate sotto comando unificato
Usa.
La fusione di fatto tra le due missioni è avvenuta quando,
l’estate scorsa, la missione Isaf, passando sotto comando Nato, ha cambiato le
regole d’ingaggio in senso “offensivo” e ha iniziato ad attaccare i talebani
nel sud dell’Afghanistan: le operazioni di guerra ‘Mountain Thrust’, ‘Medusa’,
Mountain
Fury’, ‘Falcon Summit’ e ora ‘Achille’ sono operazioni di Isaf, non di Enduring
Freedom.
L’unione di fatto è diventata matrimonio il 4 febbraio scorso, quando
il generale Usa Dan K. McNeill ha assunto il comando sia delle forze Usa di
Enduring Freedom che di quelle Nato di Isaf.