10/12/2004versione stampabilestampainvia paginainvia



Pagati 1,5 milioni di dollari per la liberazione dei tre ostaggi Onu rapiti a Kabul
Il Gandamak LodgeAl civico 5 di Passport Lane, in una tranquilla zona residenziale di Kabul, c’è una bella villetta a due piani circondata da alberi e da un giardino.
Si racconta che una volta questa casa fosse utilizzata da al-Qaeda per riunioni e incontri segreti.
Leggenda vuole addirittura che Osama bin Laden, mentre era ospite del regime talebano, usasse incontrare qui una delle sue mogli.
 
Il Gandamak Lodge. Oggi questa villetta è uno degli hotel più famosi di Kabul. Le diciassette camere del Gandamak Lodge sono contese a suon di dollari (da 45 a 100 per notte) dagli stranieri che arrivano fin qui. Saranno le cene da 20 dollari a lume di candela nel giardino estivo, le abbondanti colazioni uova e pancetta da 10 dollari o l’arredamento in stile vittoriano con tanto di collezione di fucili d’epoca e altri trofei esotici che creano un’atmosfera d’altri tempi. Fatto sta che al Gandamak Lodge c’è un continuo andirivieni di giornalisti, operatori umanitari e militari stranieri. Soprattutto britannici.
Peter Jouvenal Il padrone del posto è uno di loro: Peter Jouvenal, ex soldato di Sua Maestà ed ex cameraman della Bbc, per cui ha lavorato in Afghanistan per oltre vent’anni.
Alla fine del 2001, dopo aver girato le scene del documentario di John Simpson “La liberazione di Kabul”, il baffuto e sorridente Mr. Jouvenal ha appeso la telecamera al chiodo e si è dato al business alberghiero, offrendo agli stranieri un’isola di lusso europeo nel mare di polvere, rovine e miseria di Kabul.
 
Mediatore per Behgjet Pacolli. Tra i suoi clienti abituali c’era anche il chiacchieratissimo imprenditore albanese Behgjet Pacolli, presidente della Mabetex di Lugano, ex marito della cantante Anna Oxa e parente di Shqipe Habibi, l’operatrice kosovara delle Nazioni Unite rapita a Kabul lo scorso 28 ottobre assieme a due suoi colleghi, l’irlandese Annetta Flanigan e il filippino Angelito Nayan.
Behgjet Pacolli e Anna Oxa Dopo circa un mese di prigionia e trattative con il gruppo talebano Jaish-ul-Muslimeen (Esercito dei musulmani), i tre sono stati rilasciati. Ufficialmente in cambio della liberazione di ventiquattro prigionieri di guerra talebani, ancora ufficialmente non avvenuta. In realtà in cambio di un riscatto di milione e mezzo di dollari pagato dall’affarista albanese grazie alla mediazione del padrone del Gandamak Lodge.
Subito dopo la liberazione dei tre, Peter Jouvenal è stato arrestato dalla polizia afgana e interrogato per diciannove ore in merito ai suoi contatti con i sequestratori talebani. Dopo essere stato rilasciato, Jouvenal ha raccontato la sua versione dei fatti.
“Ho preso parte, con successo, al negoziato per la loro liberazione. Sono riuscito a salvarli. Sarei stato un ingenuo ad aspettarmi ringraziamenti per questo. Le cose sono andate così: Pacolli mi ha incaricato di mettermi in contatto con i sequestratori e io l’ho fatto tramite mie vecchie conoscenze tra i mujaheddin di Peshawar, in Pakistan. All’inizio ho offerto loro, per conto di Pacolli, un milione e duecentomila dollari, ma hanno rifiutato dicendo che il governo afgano aveva già offerto di più. Quindi alla fine ci siamo accordati per un milione e mezzo”.
 
Il segreto di Pulcinella. Mr. Jouvenal, che per qualche mese ha pensato bene di tornare in patria, non ha voluto confermare esplicitamente il pagamento, che anche Pacolli continua a smentire. Come lo stesso governo afgano.
Ma a Kabul la storia del riscatto è diventato il segreto di Pulcinella. Tutti lo sanno. Se ne parla apertamente su tutti i giornali.
L'ultimo numero del Kabul Weekly Sull’ultimo numero della rivista Kabul Weekley, ad esempio, un funzionario governativo, protetto dall’anonimato, ha confermato il pagamento.
Si parla del riscatto soprattutto in riferimento alla frattura che ha creato all’interno del Jaish. Una frattura denunciata con una certa soddisfazione dalla ‘vecchia guardia’ talebana, da cui il Jaish era sorto come una fazione scissionista di sedicenti ‘irriducibili’ che in realtà, secondo alcuni osservatori, sono stati manovrati dai servizi segreti Usa.
Secondo Abdul Latif Hakimi, portavoce dei talebani storici del mullah Omar, il leader del Jaish, mullah Syed Mohammad Akbar Agha, quarantacinquenne comandante talebano originario di Kandahar, sarebbe scappato con il milione e mezzo di Pacolli e ora la gran parte dei membri del Jaish è tornata tra i ranghi dei talebani per dargli la caccia.
Evidentemente la strategia irachena dei rapimenti a scopo d’estorsione non si addice alla rigida morale della resistenza talebana.
 
 
 

Enrico Piovesana

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