Un giovane uomo giace in un letto d’ospedale. Ha la gola fasciata
dalle bende di medicazione. Si chiama Abdul Manaan, ma tutti lo conoscono come
Naanwaì, ‘il panettiere’, perché ha una
panetteria appena fuori dal villaggio di Toube, nel distretto di Garmisr, una
settantina di chilometri a sud di Lashkargah. Parlando a fatica, racconta
quello che è successo nel suo villaggio la notte dello scorso 18 novembre.
Il racconto di Naanwaì. “Erano circa le due di
notte quando sono stato svegliato dal rumore di elicotteri. Ho guardato fuori
dalla finestra ma non ho visto nulla. I miei fratelli minori che dormivano nella
stanza accanto, sono venuti da me a chiedermi cosa stesse succedendo. Ho detto loro di tornare a letto e così ho
fatto anch’io. Poco dopo ho sentito dei rumori sul tetto: erano soldati armati.
Sono entrati dalle finestre nella camera dei miei fratelli chiedendogli se
fossero talebani. Mio fratello ha detto ‘no, abbiamo un negozio, perquisite
pure la casa, non abbiamo armi’ e loro gli hanno sparato a bruciapelo. Poi
hanno legato le mani all’altro mio fratello e gli hanno tagliato la gola. Poi
sono venuti da me. Uno dei soldati parlava un po’ di pashto. Mi hanno chiesto
se fossi un talebano. Ho detto che no, che ero un panettiere. Mi hanno legato
le mani e uno di loro mi ha passato il coltello sulla gola tagliandomi tre
volte. Non ero morto. Poi se ne sono andati. Le donne e i bambini nelle altre
stanze piangevano e urlavano, ma erano salvi”.
Soldati “stranieri”
non identificati.
La testimonianza di Abdul Manaan è confermata da molti
altri abitanti del suo villaggio che abbiamo incontrato all’ospedale:
le persone venute a farsi curare le ferite e i parenti che le hanno
accompagnate. Raccontano di soldati che abbattevano le porte, che
sparavano ai
bambini e che tagliavano le gole. Tutti concordano che il raid è
iniziato alle
due di notte con il rumore di elicotteri da cui sono scesi decine di
soldati,
afgani e stranieri.
Gli afgani non sanno distinguere le nazionalità dei soldati
della Nato: statunitensi, britannici, canadesi, olandesi, per loro sono tutti
“stranieri”.
Nel sud dell’Afghanistan, forze speciali statunitensi e di altri
paesi conducono missioni speciali assieme alle truppe scelte afgane: questi commando non rispondono ai locali
comandi Isaf-Nato né sottostanno alle loro regole d’ingaggio.
Altre drammatiche testimonianze.
“Erano da poco passate le due quando i soldati stranieri hanno fatto irruzione
in casa mia e hanno sparato ai miei figli nelle loro culle, colpendoli alla
testa”, racconta Nabi Jan pieno di rabbia. “Ho raccolto i brandelli di cervello
dal pavimento con le mie mani e li ho messi accanto ai loro corpi. Hanno ucciso
diciotto persone quella notte e giuro che nessuno era un talebano: erano civili
come me, con mani dure da contadini. Se non mi credete, venite al cimitero del
villaggio:
dissotterro i loro corpi e ve li mostro! I soldati se ne sono andati attorno
alle cinque di mattina, quando era ancora buio. La mia famiglia da quel giorno
vive accampata vicino al fiume. Abbiamo paura di tornare a casa”.
Borjan, un altro abitante di Toube, è seduto fuori dall’ospedale.
“I soldati sono entrati nelle nostre case e hanno sparato a tutti quelli che
trovavano, comprese le persone che dormivano nei loro letti. In una casa sono
stati addirittura uccisi dei bambini nelle loro culle. A tre persone è stata
tagliata la gola: due sono morte e una è qui ricoverata in ospedale”.
“Io ho perso due cugini quella notte”, racconta Noor
Mohammad, seduto vicino a lui. “Quando abbiamo sentito gli elicotteri abbiamo
avuto paura e ci siamo nascosti. I soldati hanno buttato giù la porta e hanno
iniziato subito a sparare. Hanno ucciso quattro persone. I militari erano
afgani e stranieri”.
La protesta degli
anziani di Garmsir. Il 20 novembre,
due giorni dopo il raid, quasi cento anziani e capi tribali del distretto di
Garmsir sono venuti a protestare a Lashkargah. Nella sede dell’Nsd, i servizi segreti
afgani, sono stati ricevuti da rappresentanti delle autorità locali e dal capo
della polizia di Helmand. All’incontro, carico di tensione, erano presenti
anche ufficiali britannici del Prt di Lashkargah.
Uno di loro, un anziano zoppicante, ha preso la parola
piangendo. “Il mio nome è Haji Ali Mohammad. Quella notte i soldati sono
entrati in casa mia e hanno ucciso a sangue freddo due dei miei figli. Uno di
loro era sposato da un mese. Non erano talebani, erano contadini. Siamo tutti
poveri contadini!”.
Mohammad Husseini Andiwal, il capo provinciale della
polizia, gli ha risposto: “Capisco il vostro dolore. Anche un cuore di pietra
si
scioglierebbe per le vostre sofferenze. Faremo di tutto per evitare che le
forze straniere uccidano ancora in questo modo dei civili”.
Uno dei militari britannici del Prt ha preso la parola per
dire che i comandi Isaf hanno avviato un’indagine su “l’incidente di Toube” ma
che
sarà difficile stabilire la nazionalità dei soldati stranieri coinvolti.
Matiullah Minapal
Aziz
Ahmad Tassal*