Intervista a Mohaqiq, ex signore della guerra leader degli hazara sciiti, ora parlamentare
Durante la guerra civile che ha insanguinato l'Afghanistan negli anni '90 - dal
ritiro dell'Armata Rossa all'avvento dei talebani - la minoranza hazara sciita
combatteva sotto la guida di Abdul Ali Mazari, fondatore e leader del partito
hazara filo-iraniano Hezb-e-Wahdat, catturato e torturato a morte dai talebani
nel 1996. Gli successe il suo comandante militare, Haji Mohammed Mohaqiq, che
combatté i talebani sul fronte di Mazar-e-Sharif a fianco del famigerato generale
Abdul Rashid Dostum, leader dei mujaheddin uzbechi, e del famoso Ahmad Shah Massud,
che comandava quelli tagichi. Assieme formarono l'Alleanza del Nord, che poi combatterà
a fianco degli americani. Gli uomini al comando di Mohaqiq, e non solo i suoi,
compirono orribili atrocità verso il nemico e si macchiarono dei peggiori crimini
di guerra: prigionieri giustiziati in massa, villaggi saccheggiati e dati alle
fiamme, donne violentate.
Dopo la caduta del regime talebano, Mohaqiq, rimasto alla guida dell'Hezb-e-Wahdat,
è entrato come ministro della Pianificazione nel governo provvisorio di Hamid
Karzai, per poi uscirne e sfidarlo alle elezioni presidenziali dell'ottobre 2004,
piazzandosi terzo con l'11 per cento, dietro al vincitore e al leader tagico Yunus
Qanuni.
Alle elezioni parlamentari del 18 settembre Mohaqiq ha avuto la sua rivincita:
è stato il candidato più votato di tutto l’Afghanistan.
Dal nostro inviato
Enrico Piovesana

Mohaqiq ci riceve nella sua lussuosa residenza di Kabul, protetta da un cancello
blindato e da guardie armate di kalashnikov. All'entrata c'è un drappo nero appeso
sopra i manifestini elettorali di Ashraf Ramazan, il candidato hazara dell'Hezb-e-Wahdat
presentatosi nella provincia di Mazar-e-Sharif e assassinato pochi giorni dopo
il voto. Secondo le rabbiose folle hazara scese in piazza qui a Kabul e a Mazar,
il mandante è il governatore tagico di quella provincia, l'ex comandante Mohammad
Ustad Atta.
Attraversando il cortile, dove troneggiano una grande Cadillac nera e un Mercedes
di grossa cilindrata, entriamo nella stanza dei ricevimenti. Mohaqiq, è vestito
come in tutti i suoi ritratti pubblici: mantella marrone e turbante grigioverde
a righe, tenuto indietro sulla testa.
Lei risulta il candidato più votato alle ultime elezioni. Come spiega questo
suo successo, sorprendente soprattutto se confrontato con il suo piazzamento alle
presidenziali?
“Non è sorprendente. Mi sono presentato nella provincia di Kabul dove vivono
moltissimi hazara: costituiscono un terzo della popolazione della capitale e un
quarto di quella della provincia. Inoltre sono stato votato anche da molti elettori
tagichi e pashtun che evidentemente hanno preferito me ai loro candidati”.
Secondo molti osservatori internazionali il risultato delle elezioni è deludente
perché a vincere sono stati signori della guerra, ex comandanti mujaheddin e talebani,
insomma criminali di guerra. Cosa ne pensa?
“Questi commenti sono un insulto verso il popolo afghano, che ha tutto il diritto
di scegliersi i rappresentanti che vuole e che ha tutte le capacità per saper
distinguere quali sono le persone che hanno dimostrato di meritare la loro fiducia.
Questa è bassa propaganda diffusa da chi non è stato votato dalla gente. Tra questi
ci sono anche molti di quei candidati che fino a ieri erano degli sconosciuti,
che stavano all'estero da anni, e che sono tornati solo per chiedere voti sperando
nei loro appoggi internazionali”.
In queste elezioni non c'erano partiti né schieramenti politici che si fronteggiavano:
c'erano solo candidati individuali. Com'è possibile dire chi ha vinto e chi ha
perso?
“E' vero che i partiti non potevano comparire nella campagna elettorale e nelle
schede. Ma è altrettanto vero che la maggior parte dei candidati, salvo quelli
che si sono presentati come indipendenti, erano affiliati ai diversi partiti afghani,
e molti partiti sono raggruppati in alleanze più o meno formali. Ancora è presto
per tirare le somme, ma quando il nuovo parlamento si riunirà sarà facile capire,
in base alle appartenenze e alle alleanze, quali saranno i gruppi più numerosi
e quindi potenti. Per esempio il nostro partito, l'Hizb-e-Wahdat, dovrebbe riuscire
a mandare in parlamento una trentina di candidati. Questi, sommati a un'altra
decina di candidati eletti di altri partiti hazara, formeranno un gruppo compatto
di parlamentari hazara”.
Quindi significa che l'unica chiave di lettura per capire la composizione del
futuro parlamento sarà di carattere etnico?
“E' ovvio che, per esempio, sulle leggi che riguarderanno la minoranza hazara,
i parlamentari hazara voteranno compatti. Ma su altri temi di carattere nazionale
ci potranno essere, di volta in volta, convergenze e divergenze trasversali in
base alle opinioni personali dei singoli parlamentari. Spero che sui problemi
più importanti e urgenti del nostro Paese il parlamento saprà essere unito per
fare buone leggi e per lavorare insieme al nostro governo in nome dell'interesse
nazionale”.
Per lei personalmente, come futuro parlamentare, quali sono le priorità che cercherà
di portare avanti con il lavoro legislativo? E quale sarà il suo impegno per la
minoranza hazara?
“Chiaramente il bene della comunità hazara mi sta molto a cuore, perché la nostra
è la popolazione che più ha sofferto nella storia di questo Paese. Quindi ritengo
più che legittimo, per un principio di riequilibrio e compensazione, riservare
particolare attenzione ai problemi degli afghani hazara. Solo così, senza lasciare
indietro nessuno, l'Afghanistan potrà essere ricostruito e sviluppato in maniera
equa e bilanciata. Questa è a sua volta la precondizione per garantire la pace
tra le diverse popolazioni del Paese, pace che ovviamente va tutelata anche attraverso
una seria politica di sicurezza e di disarmo delle milizie private. Quest’ultima
cosa, infine, non può prescindere da un forte impegno, che fino ad ora è mancato,
per sradicare la coltivazione, il commercio e la raffinazione dell'oppio, principale
risorsa finanziaria di queste milizie”.
Queste elezioni sono state caratterizzate da bassissima affluenza e da diffuse
irregolarità: gente che ha votato più volte per lo stesso candidato grazie a tessere
multiple e all'inchiostro non indelebile, centinaia di urne sostituite con altre
piene di schede prevotate. Qual è il suo giudizio?
“Innanzitutto penso che il governo e il Jemb abbiano mentito sul dato dell'affluenza.
Hanno dichiarato che il 53 percento degli aventi diritto sono andati alle urne.
Ma vi assicuro che l'affluenza non ha superato i 35-40 percento. Per quanto riguarda
la regolarità del voto, beh, sappiamo tutti che ci sono stati parecchi problemi,
soprattutto nelle province del sud del Paese. Ma si è trattato di brogli localizzati,
non organizzati o organizzati su piccola scala. Nulla di confrontabile con quello
che è successo alle elezioni presidenziali dello scorso ottobre: allora fu il
governo stesso a organizzare e gestire i brogli in maniera tale da garantire la
vittoria di Karzai”.
Qual è invece il suo giudizio politico su questo voto? Secondo molti si è trattato
solo di una messa in scena organizzata dagli Stati Uniti per dimostrare che sono
venuti qui in Afghanistan per portare la democrazia. Secondo lei?
“Secondo me non è così. Certo, non basta un'elezione perché in un Paese ci sia
democrazia. Ma questo voto è stato un importante passo nella direzione giusta.
Il governo Karzai, in nome della democrazia, ha agito poco e male da quando è
al potere. Questo è il motivo per cui molti afghani sono già delusi dalla democrazia
e non sono andati a votare. Ma proprio questo è anche il motivo per cui invece
è importante avere un parlamento che si affianchi al governo per lavorare veramente
nell'interesse del Paese”.
A proposito di Stati Uniti: cosa pensa della loro presenza militare in Afghanistan?
“Bisogna fare una distinzione. Se si parla delle presenza del contingente internazionale
dell'Isaf, nessuno con un minimo di senso politico può mettere in dubbio il fatto
che non possiamo ancora farne a meno, dato che per ora non siamo in grado di garantirci
da soli la nostra sicurezza. Se invece si parla di truppe Usa, il discorso è diverso
e ognuno ha la sua opinione in merito. Penso che uno dei compiti del futuro parlamento
sarà proprio quello di discutere questo delicato argomento e di prendere una decisione
chiara sulla permanenza o meno delle basi Usa in Afghanistan dopo la definitiva
sconfitta della resistenza talebana”.